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L’onda del mantra. Riflessioni su “Mantra&Meditazione” di Swami Ritavan Camaldoli maggio ’25 n. 7 fine

Il mio percorso parte dai miei limiti, dalle mie difficoltà. Non così per la mia anima. Il mio sé è sempre stato uno con il Sè, l’atman è da sempre la mia casa. Il brahman-atman si riflette nell’oceano quieto della sacralità della vita. La luminosità si manifesta e si identifica con la preghiera, con l’espressione sottile del mantra, con la preghiera senza parole, ajapa. Affonda poi in noi come pensiero. L’onda del mantra si esprime risuonando nella mente e nel corpo.

Allo sfocarsi di questa esperienza, ecco l’emergere di pensieri maculati alimentati dai samskara, trovano uno spazio in cui si sia indifesi, uno spazio in cui nuovamente possano diffondersi e pervadere i più vari pensieri. Eccoci qui nella quotidianità. La mente non percepisce più il reale, il tat sat. Si trasforma con successive identificazioni con le cose, con il mio io molteplice.

La meditazione può costituire il varco per riconnettersi alla luce, il mantra la consolida e ci ricorda il messaggio: chi sono io? Si riparte, con pazienza e devozione, per la pratica, si segue la traccia verso una pace, sia interiore, sia quotidiana.

Bisogna vedere con chiarezza che cosa sta accadendo, riflettere con la mente sulla mente, in ogni pensiero, in ogni azione. Il potere del mantra va consolidato. Negli Yoga Sutra questa esigenza si alimenta attraverso il samyama, laddove concentrazione, meditazione e raccoglimento interagiscono in un continuo processo di affinamento. Ricordarsi del mantra è frutto di un sentimento, un sentimento orientato al bene, un sentimento per il mantra.

Occorre sensibilizzarsi alla ‘voce interiore’, creare un dialogo interiore, sviluppare i samkalpa. Occorre guardare le nostre intenzioni, affinarle in un discorso cosciente, così ci si potrebbe riconnettere con l’anima, con l’atman. È una attività incessante, una attenzione continua, ben sapendo il potere subliminale che hanno i samskara.

In questo colloquio bisogna cercare sempre di prendere avvio dalla condizione più silenziosa della mente per consolidarla. La nostra intenzione è di parlare a partire dalla quiete del cuore, con la ferma intenzione di trasmettere a tutti gli esseri lo stato silenzioso della nostra parola e del nostro essere. La parola sgorga dal silenzio profondo del nostro essere.

È un vivere intenzionale e senza oggetto, è una condizione in cui mantra e preghiera interagiscono. Per lo Yoga manifestare in ‘segreto’ questa sorgente silenziosa è dar luogo a quella profonda interazione tra mantra, amore, servizio altruistico. La nostra casa è in noi e in ogni luogo, è la nostra stanza.

Purtroppo sappiamo quanti “mantra” l’egoismo umano ha diffuso e diffonderà in sè e nell’ambiante circostante. Se la strada è diversa, se è alimentata da una aspirazione al bene, ad una consapevole aspirazione al bene, allora tra il mantra e i pensieri prende forma una coscienza che via via accende il lume della coscienza. Tra mantra e pensiero può apparire, velata dall’ombra del karma, il ‘volto’ sfumato del Sè che può maturare attraverso la vacuità di ogni desiderio. Emerge l’umiltà che accompagna la saggezza. La coscienza matura portando con sè sia il coacervo karmico sia i desideri più o meno maculati dal proprio egoismo trasformandoli in qualcosa di diverso, di “nuovo”. La zattera che mi ha portato all’altra sponda si dissolve al mettere qui il piede. Questa zattera è il mantra, è la cresta dell’onda su cui restare in equilibrio per giungere sull’altro sponda dove si dissolverà nell’esperienza del tat tvam asi, “Tu sei Quello”.

 

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