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Le tre caverne. Riflessioni su “Mantra&Meditazione” di Swami Ritavan Camaldoli maggio ’25 n. 4

Tre sono le più grandi caverne in cui si celano il suono e la luce. Nel silenzio oscuro della grotta un soffio d’aria, lo scorre di un ruscello in uno specchio d’acqua sono le sole ‘parole’ che si recepisco, la luce indecifrabile tace raccolta nella sua oscurità.

Queste tre caverne sono quella nell’ombelico, quella nel cuore, quella nella mente. I nostri sensi si sono dimenticati delle loro grotte e tendiamo a ricrearle nella nostra casa, tra i ‘nostri’ amici, nel partito o nella società. È giusto che sia così se però le alimentiamo assieme nella grande grotta del nostro corpo, nel silenzio rigenerante del ventre della terra, del ventre materno. Perchè questo accada ci serve essere svegli lungo la strada della nostra pratica di raccoglimento, saper seminare profondo nella nostra perseveranza. Ogni seme darà frutto a suo tempo, con la pazienza e la fede-fiducia.

Quando è presente una dimensione circolare tra queste tre caverne può accadere che si risvegli quella del maestro che avvolge i suoi praticanti. Questo vincolo karmico ed emotivo se rimane chiuso in quella o quell’altra scuola si ripiega su se stesso. Bisognerebbe comprende che la finalità di una scuola è quella di aprirsi all’altro anzichè chiudersi su stessa. Accanto a queste due esigenze diverse, accomunate dalla scelta comunitaria, bisogna tener presente la via del “monaco”. Quella di chi sceglie di camminare da solo lungo la via del conosciuto pronto a farsi catturare dal incontro con il non-conosciuto. Latente e sottaciuta vi è quell’esperienza forte, quella comprensione profonda del “neti, neti”.

In ogni caso il ritmo del mantra si alimenta al fuoco degli insegnamenti, alla voce del maestro, al suo sguardo. Tra maestro e allievo si può creare una relazione che dissolve la qualità del mantra come dipendenza e può trasformarsi, come ali di un uccello, in una occasione di autentica crescita interiore.

Il mantra può alimentare la nostra meditazione guidandola dal conosciuto verso il non-conosciuto e in questo percorso aiuta la mente a coltivare quella esperienza calma e tranquilla di un “ritorno a casa”, alla nostra natura essenziale. L’esplorare le nostre sensazioni ci aiuta nella ricerca del nostro centro. Quell’ “abitante dell’interno” può riferirsi alla mia natura che si trova centrata in se stessa, ma può anche trovarsi al cospetto di quell’ ”abitante dell’interno” che esprime l’incontro con l’Assoluto che qui risiede.

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