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Trimle lug – ago 2001 n° 3 Anno III

Capogiri di una settantenne ( Gemma Donati )

Guarigione Cristiana ( Alessio – Centro Meditazione Cristiana Firenze ).

Il Dio vicino ( Massimiliano Foglini ).

Il cammino dei Tantra ( a cura di Gemma Donati )

Dialogo tra gli uomini di fede . . . (Rodolfo Savini)

I capogiri di una settantenne

(Gemma Donati

 

Nata nel 1932 mi muovo come uno zombie nel mondo moderno. Tutte quelle macchine, quei meccanismi, quei macchinari, quei marchingegni, i computer, internet… Per non parlare dei telefonini, anch’io ce l’ho il cellulare ma lo maneggio così male da avere costantemente bisogno che qualcheduno me lo risistemi perché non ho ancora imparato a farlo da me.

Non ci capisco nulla di questo mondo, della nuova mentalità, mi sento smarrita come un pesce fuor d’acqua. L’invasione violenta della scienza nelle nostre vite private mi da’ il capogiro: l’inseminazione artificiale, la clonazione, la globalizzazione, la transgenesi…

Non ho più punti di riferimento, persino la lingua, la mia bella lingua, la lingua di Dante, Petrarca, Boccaccio, di Manzoni oggi non la capisco nemmeno più! Ci sono professori di liceo che scrivono il fa’ di fare senza l’apostrofo…

Come sopravvivrò alla scomparsa di tutto quello che una volta era il mio solido piedistallo, che oggi rivela paurose crepe?

E però nel marasma generale, nella vertigine di tanti mutamenti allucinati, allucinanti, allucinogeni emergono più pregnanti che mai le parole di Colui che duemilacinquecento anni fa’ (o fa?) Disse:: “Tutto ciò che è nato deve decadere e morire. Ricercate o monaci il non nato e avrete sconfitto la morte”.

Allora penso: è scomparsa la civiltà di Atlantide, l’impero di Nabuccodonosor, quello di Alessandro Magno, quello cinese, quello romano, quello della Gran Bretagna per non parlare di tutti gli esseri senzienti… Bè può anche scomparire dalla scena l’apostrofo del fa di fare!

Questa consapevolezza mi spinge ancora di più a ricercare il non nato per sconfiggere la morte, e il mio capogiro si trasforma allora in una dilatazione della coscienza che mi porta oltre… molto oltre…

Mi accorgo che le crepe che minano la sicurezza del piedistallo su cui da quasi settanta anni mi trovo in precario equilibrio, possono anche essere porte che si stanno aprendo su spazi più vasti.

Guardo il mio corpo: è un meccanismo incredibilmente sofisticato e complesso, veramente meraviglioso. Ma esso non è nato ieri, non è sorto per la magia di un prestigiatore dal nulla, nessuno stregone lo ha reso possibile col solo soffio del suo respiro! Esso è venuto a formarsi poco a poco dalla notte dei tempi, dalla prima materia, quale nemmeno sappiamo, è venuto da un mondo molto diverso da quello di oggi.

Questo corpo, e tutti quelli di tutti gli esseri senzienti, sono come sono oggi dopo infinite prove, infiniti tentativi, crisi dopo crisi, trasformazioni dopo trasformazioni, sconfitte che si sono infine risolte in qualcosa di nuovo e di più evoluto. Come la riproduzione endogamica in confronto alla semplice scissione delle amebe!

E se… anche la clonazione, oggi solo in fase sperimentale, fosse uno di questi tentativi spiritualmente evoluti, che porterà in futuro una trasformazione della coscienza ancora inimmaginabile per noi? Se fossimo dopo tutto ancora agli inizi di tutta la faccenda, alla preistoria della vera esistenza, e l’atto più importante dovesse ancora venire?

Così cesso di sentirmi uno zombie e guardando il mio cellulare come al solito bloccato per mia incompetenza, provo una sorta di stupore metafisico, un’incredulità piena di luce: se la globalizzazione fosse l’inizio di un’unità addirittura cosmica…

Ci saranno certo innumerevoli vittime, come ci sono sempre state nell’evoluzione degli esseri: pesci che cercavano di uscire dall’acqua senza avere ancora i polmoni dei rettili, rettili che si buttavano nel vuoto senza avere ancora le ali degli uccelli…

Anche io potrò essere tra queste vittime, e però oggi ho compreso che il cambiamento avviene sempre secondo una legge, la legge suprema del Dharma, che è eterno perché eterno è il Dharma, e soltanto arrendendoci ad esso possiamo veramente sconfiggere la morte. 

 

Guarigione Cristiana

(Alessio – Centro Meditazione Cristiana Firenze)C’è una domanda molto impegnativa, che Gesù pone ai malati ed è la seguente: “Vuoi guarire?”. La risposta è più difficile perché dipende da noi: “Si, lo voglio”. Ma la risposta è tremenda, perché non lascia scampo, Gesù dice: “Allora alzati e cammina!”. Alzati e cammina, da ora sei guarito e puoi affrontare il mondo.

E’ molto più facile essere malati. E’ una scusa che giustifica l’immobilità, la dipendenza, la schiavitù, la morte. “Non posso, non ce la faccio, sono malato”. “Non posso camminare, sono zoppo”. “Non posso agire la mano è rattrappita”. “Non posso vedere, sono cieco”. “Non posso sentire sono sordo”. E così via… Ma se vogliamo Cristo, se crediamo in Cristo, la prima cosa che Egli ci chiede, è: “Vuoi guarire?”. Lui non aspetta altro. Ma noi esitiamo a rispondere, perché sappiamo che con il nostro si, Egli ci può veramente guarire e dovremo allora iniziare a vivere. Sappiamo che dopo non avremo più scuse, dovremo iniziare a camminare con le nostre forze, affrontare da soli le difficoltà, lottare per superarle, affrontare senza scansarli i problemi.

Saremo costretti ad uscire dalle nostre case, dalle nostre grotte, dai nostri sepolcri, mettersi in viaggio dietro a Lui, abbandonando tutte le nostre paure e le nostre schiavitù per essere liberi di seguirlo, verso la vita. Dovremo lasciare le persone che vivono nelle grotte e che ci dicono: “Ma dove vai, ma cosa fai? Cosa ti passa per la testa? Lo vedi che fuori c’è pericolo? Stai qui sei protetto! Non andare, non fare! Aspetta!”. Eccetera… Si sappiamo che con quel ‘si’ dovremo andare, saremo guariti e dopo non potremo più mentire a noi stessi.

 

 

 

Il Dio vicinoNel buddhismo parlare di Dio è una cosa piuttosto insolita, perché in questa religione non esiste una particolare posizione teistica o una specifica credenza in Dio. Il sentiero buddhista non parte nemmeno da un qualche orientamento metafisico, ma da una profonda riflessione su quell’esperienza che accomuna tutti gli esseri: la sofferenza.

Osservare attentamente la natura della sofferenza vuol dire capire veramente il perché soffriamo. Comprendere fino in fondo la sofferenza equivale a ‘risvegliarci’, a vedere come siano tutti i nostri meccanismi mentali a crearci sofferenza e a tenerci imprigionati in un mondo illusorio.

Continuando ad osservare in profondità i nostri stati mentali vedremo come essi siano continuamente condizionati dagli eventi, come la nostra comprensibile e incessante ricerca di piacere, di approvazione, non ci porti a una condizione di benessere ma a uno stato di schiavitù, di asservimento ai nostri desideri. No, la felicità non è questa, non facciamoci ingannare; la nostra vera natura non può essere limitata, condizionata.

La nostra ‘Vera Natura’, per essere tale, deve trascendere tutte le illusioni mentali che creano sofferenza e insoddisfazione. E in questa capacità di trascendere tutte le cose condizionate si trova la ‘liberazione’, la ‘salvezza’, la ‘verità’.

Ajahn Sumedho, monaco buddhista occidentale appartenente alla tradizione Theravada, fondatore di alcuni monasteri e centri di meditazione in Europa, ci dice che la rivelazione della verità, o della realtà suprema, è l’essenza dell’esperienza religiosa. Quando ci leghiamo al divino, e in quel vincolo impegniamo la totalità del nostro essere, facciamo sì che la rivelazione della verità che chiamiamo visione profonda, una visione profonda che sia vera e intensa, penetri nella natura delle cose. Anche la rivelazione è ineffabile. Le parole non sono assolutamente in grado di esprimerla. Ecco perché le rivelazioni possono essere molto diverse. Il modo in cui vengono esposte o si concretano nelle parole può variare all’infinito.

Perciò le rivelazioni di un buddhista hanno un’aria molto buddhista e le rivelazioni di un cristiano danno un’impressione molto cristiana, il che è abbastanza giusto. Non c’è niente di sbagliato in questo. E’ necessario però riconoscere i limiti della convenzione del linguaggio. Dobbiamo capire che il linguaggio non è vero né reale in senso assoluto: è un tentativo di comunicare ad altri la realtà ineffabile.

Dio, la parola Dio, può avere un senso solamente se possiamo riferirci ad un’esperienza. Dio non può essere un corso di teologia… Dio non può essere racchiuso in un discorso, in un’idea… Nessuna parola potrà mai definirlo; nessun concetto potrà veramente farci avvicinarci. E’ come se fosse un sapore… l’unica maniera per conoscere il gusto di un frutto è assaggiarlo! La maniera per assaporare la realtà suprema è aprire incondizionatamente il cuore alla vera consapevolezza permettendo alla verità di rivelarsi.

Rivelazione, liberazione, salvezza… sono termini comuni a tutte le religioni. Tutte le religioni hanno come scopo il liberarsi dall’illusione, il raggiungimento della realtà suprema, la completa unione con Dio. Nel buddhismo, tutto questo si chiama illuminazione. E il mio augurio a tutti voi è quello che vi accorgiate di essere già illuminati!

 

Il Cammino dei Tantraa cura di Gemma Donati

  

(Da: -Il Cammino dei Tantra- di Patrul Rimpochè, uno dei maggiori maestri dei nostri tempi).

Il Cammino dei Tantra è spesso chiamato il Cammino del Mantra Segreto, o Veicolo Adamantino, il Vajrayana.

E’ importante ricordare che la pratica Vajrayana è basata sul Sutrayana, col quale non deve entrare mai in conflitto.

 30- La Percezione Pura

- Il Samsara altro non è che la realtà come ti appare.

- Se tu riconosci ogni cosa come divinità, il bene degli altri è assicurato.

- Vedere la purezza di ogni cosa ci conferisce immediatamente i quattro poteri tutti insieme. Essi sono: il potere che purifica il corpo, il potere segreto che purifica la parola, il potere della conoscenza che purifica la mente, e il potere simbolico che purifica tutte le impurità sottili del corpo, della parola e della mente contemporaneamente.

Purificando in profondità il Samsara, recita il mantra delle sei sillabe OM MANI PEME HUM.

31- Il Corpo di Diamante

Tutto ciò che appare, tutte le apparenze altro non sono che la forma del Bodhisatva della Compassione, che appare reale eppure è vuota.

Recita il mantra delle sei sillabe del Bodhisatva della Compassione OM MANI PEME HUM.

32- La Parola di Diamante

Tutti i suoni esistenti altro non sono che la parola del sublime Bodhisatva della Compassione Chenresi. Riconoscendoli come il Mantra che risuona eppure è vuoto, recita il mantra delle sei sillabe OM MANI PEME HUM.

38- La Natura della Mente

Tutto ciò che appare altro non è che delusione e non ha vera esistenza.

Samsara e Nirvana non sono altro che pensieri, nulla più.

Se puoi liberare i pensieri quando sorgono applicando le istruzioni apposite, recita il mantra delle sei sillabe OM MANI PEME HUM.

La tua stessa mente, nello stesso tempo consapevole e vuota, è il Dharma.

Lascia che ogni cosa sia come è, nella sua semplicità originale e la chiarezza sorgerà naturalmente.

Solo non facendo nulla potrai fare tutto ciò che c’è da fare, lasciando ogni cosa vuota nella sua nuda consapevolezza, recita il mantra delle sei sillabe OM MANI PEME HUM.

 - Riconoscere i suoni come mantra è il punto cruciale della pratica della recitazione. Nell’auto-liberazione dell’udito recita il mantra delle sei sillabe OM MANI PEME HUM.

- Riconoscere gli odori come non nati è il punto cruciale della pratica di realizzazione. Nell’auto-liberazione dell’odore recita il mantra delle sei sillabe OM MANI PEME HUM.

- Riconoscere i sapori come una festa sacra è il punto cruciale dell’offerta. Nell’auto-liberazione del gusto recita il mantra OM MANI PEME HUM.

- Riconoscere le sensazioni come essenzialmente identiche è il punto cruciale dell’eguaglianza della sensazione. Nell’auto-liberazione della sensazione recita il mantra delle sei sillabe OM MANI PEME HUM.

- Riconoscere tutti i fenomeni come vuoti è il punto cruciale della visione. Nell’auto-liberazione dei pensieri recita il mantra delle sei sillabe OM MANI PEME HUM.

 

 

Dialogo tra uomini di fede: la compassione e la sofferenza  

(Rodolfo Savini)

 

 

 Guardare al di là dell’apparenza, distinguere le “cose così come sono”, riconoscere il volto di Dio nel fratello: si apre una porta, la porta della compassione, della fusione amorevole, della condivisione. Certo che questa dimensione è evidente nel percorso cristiano che direttamente fa appello all’altro: scorgere il volto di Dio nel fratello. Lo stesso slancio sostiene la prospettiva buddhista che sollecita a guardare l’altro così come è, ma soprattutto a guardare me stesso così come sono: senza il peso delle innumerevoli scorze egoistiche che tutto ci mostrano tranne la vera natura della realtà.

Il dialogo tra uomini di fede arricchisce il sentiero spirituale con ciò che abbiamo dimenticato, perché è chiaramente impossibile alla nostra persona abbracciare anche ciò che ha alle spalle, discernere con la stessa chiarezza ciò che non ha davanti agli occhi.

Durante l’incontro che si è svolto ad aprile scorso con la comunità cristiana è emersa con insistenza proprio la domanda sul modo in cui il Buddhismo coltivi la compassione. Questo argomento apre all’esigenza, fortemente avvertita nel Cristianesimo, di prestare aiuto al fratello. L’accento corre verso il povero, l’umiliato, l’offeso: e corre con l’impulso a condividere, a portare quella parola capace di consolare ma al contempo di arricchire: “beati gli afflitti, perché…”. Aiutare chi soffre: qui il Cristianesimo delinea un sentiero forte che lo contraddistingue. Sgorga da questo orientamento un impulso inarrestabile all’amore. Quell’amore che non è gratificazione personale ma unione fraterna. Così dovrebbe essere, ma chiaramente in agguato c’è sempre la morsa dell’egoismo, l’impulso a mettermi in mostra, a sedere agli angoli delle strade per farmi vedere. Anche il ricco che si avvicina al Cristo non riesce a compiere l’ultimo passo: dare tutto quello che ha. La vecchina che dona solo una moneta, compie un dono immenso perché dà veramente tutto quello che ha. La compassione e l’aiuto caritatevole al prossimo hanno alla radice proprio questa energia di condivisione.

Sembra che nel Buddhismo questo impegno sociale ad aiutare gli altri sia meno accentuato. Un monaco vietnamita narra di come nel suo Paese la “Scuola di giovani per il servizio sociale” operasse con determinazione ad aiutare chi viveva il dramma della povertà e come si sia mossa in questo senso creando numerose comunità di aiuto. Guardava con tacita benevolenza un suo vecchio amico che con la bicicletta ogni giorno andava a portare da mangiare a chi si trovava nell’indigenza. Con lo scoppio della guerra e con l’affermarsi del comunismo, le comunità da lui avviate vennero chiuse, mentre il suo amico continuava a dare il suo dono compassionevole passando di villaggio in villaggio con la propria bicicletta. Allora ciò che può veramente cambiare il nostro modo di vedere le cose (per riuscire a vederle proprio così come sono) non è tanto quello di dare investire le nostre risorse in grandi opere, ma è senz’altro più importante che queste opere scaturiscano da un radicale mutamento della nostra vita. Le grandi opere potranno anche venire, ma saranno l’effetto di un’energia che ha nell’intimo di ognuno la sua vitalità esplosiva. È la vitalità della compassione che sgorga, sorgente inesauribile, dall’amore. Un calore che cura le ferite del fratello e discioglie le resistenze del soggetto stesso che aiuta. L’amore verso se stessi che il Buddha ci ha insegnato a praticare, è quello di interrogarsi ogni momento sulla natura della nostra individualità, del nostro io, dei suoi condizionamenti, delle resistenze e dei fraintendimenti che deformano la mano amichevole rivolta all’altro. Come nel Cristianesimo l’amore per gli altri può essere incrinato dalla vena dell’egoismo, così nel Buddhismo la comprensione di se stessi può essere deformata dalla presunzione di aver conseguito l’Illuminazione e dal riaffermarsi della separazione lacerante dell’io e del mio.

Buddha mi insegna che all’egoismo posso sorridere, che le paure, le ansie, le divisioni che mi lacerano possono essere dissolte, che il dolore, prima di emergere e avviluppare gli altri spingendomi a soccorrerli, intride me stesso. Penso di sapere chi sono, ma non mi conosco, l’ignoranza non mi permette di capire la causa di questa sofferenza, non mi permette di risalire al peso che hanno gli attaccamenti, alla meccanicità delle sensazioni da cui sgorgano tutte le più avvilenti conseguenze. In questo sentiero c’è il rischio che l’egoismo torni ad emergere con il suo peso lacerante e divisorio. Cristo insegna ad amare il prossimo come se stessi: ma riuscirò veramente ad amare gli altri con quella sincerità che mi permetta di liberarmi dall’egoismo? O aiutare gli altri diventa un altro modo per ” mettermi in mostra”? Ecco che dai nostri incontri sta emergendo una forte esigenza: comprendere il cammino dei nostri fratelli per ritrovare quell’interezza spirituale, quella totalità avvolgente che ci faccia veramente abbracciare ogni divisione in una prospettiva nuova in cui si possa dissolvere l’egoismo e possa emergere l’amore partecipativo. 

(Massimiliano Foglini)

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