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Negare la morteh

Credo che il pensare incessantemente alla morte possa ritenersi un caso patologico così come pure il non pensarci mai. Nel mezzo poi di questi estremi abbiamo un’infinità di varianti: da chi ci scherza sopra a chi ne ha paura, da chi pensa che sia parte della natura umana a chi lo sa! Punto e basta. Altri si immaginano che la morte sia un punto di passaggio per un’altra vita, altri un mistero che non possiamo comprendere.

Tutte le religioni hanno degli insegnamenti o delle rivelazioni riguardo l’escatologia e tutti i filosofi hanno speso fiumi di parole sul senso della vita e della morte… ma noi, per quanto possiamo, cerchiamo comunque di evitare il discorso o di liquidarlo più in fretta possibile. Fateci caso, i cimiteri sono quasi sempre dietro le città o in posti appartati. I morti vengono truccati e vestiti a festa. Quando poi parliamo di morte lo facciamo con imbarazzo, quasi a dover giustificare la cosa: “Così ha smesso di soffrire”, “Sono sempre i più buoni ad andarsene”, e così via con un campionario infinito di frasi già fatte degne dei fogliettini che si trovavano dentro dei famosi cioccolatini.

Ma quante volte ci siamo chiesti profondamente “Cos’è la morte?”. “Chi muore, quando si muore?”.

Proviamoci. Prendiamo ad esempio la nostra nascita: ecco, siamo nati… ma prima cosa eravamo? Cos’era la vita prima della nostra nascita? Non lo sappiamo! D’accordo, torniamo quindi alla nostra nascita. Uno dei primi inganni in cui la coscienza cade è quando, fin da neonati, iniziamo a percepire il nostro organismo come separato dall’ambiente che lo circonda per poi identificarci esclusivamente con questo organismo (e questa è la prima causa e l’origine delle famose angosce esistenziali). Questa identificazione crea automaticamente il falso supposto che la vita sia qualcosa che inizia con la nascita e finisce con la morte. Nascita e morte diventano così opposti e contrari. Ed è in questo contesto che sorge la concezione del tempo: adesso sono un organismo che è vivo ma un giorno futuro sarò morto. In realtà, nascita e morte sono una cosa sola. La concezione del tempo è solo una convenzione, il presente è senza tempo. Nel presente assoluto non esiste né passato  né futuro. Nel momento presente la nascita è la condizione di non avere un passato e la morte di non avere un futuro. “Nascita e morte” sono due modi di parlare dello stesso “Momento senza tempo”, e, citando Ken Wilber, “vengono illusoriamente separate solo da coloro che non riescono ad evitare di attaccarsi alla successione temporale, negandosi pag. 4 perciò il dono di vedere tutte le cose nella loro simultaneità”. Nascita e morte sono una cosa sola in “Questo Momento Senza Tempo”! Ma l’uomo identificato con il proprio organismo non può sopportare la possibilità del suo annullamento, non può accettare la propria morte, ed è proprio questa repressione che crea la proiezione del conflitto tra la vita e la morte. Negare l’unità di vita e morte che è propria del “Momento Presente” fa nascere l’idea del tempo. Rifiutando la propria morte l’uomo decide di avere un futuro, quindi egli non può esistere solo “ora” ma anche nel tempo. Egli non può più trarre gioia dal vivere l’oggi perché deve vivere anche il domani, ed è proprio nel tentativo di sfuggire alla morte che l’uomo abbandona l’Adesso per gettarsi nel tempo. A questo punto avviene un’altra forte identificazione perché “non accettando la morte” e vedendo che il proprio organismo è mortale, l’uomo si rifugia in qualcosa che gli appare più durevole, cioè le idee. L’idea dell’immortalità! Egli divide il proprio organismo in anima e corpo: è da questa ulteriore divisione che sorge la sensazione di essere qualcuno che possiede il corpo e questo qualcuno è l’ego, l’io. L’ego vive in una costante proiezione nel futuro come pseudo garanzia che la morte non venga a coglierlo proprio ora. Così si organizza affinché  questo presente diventi un altro presente e poi un altro presente ancora e così via. Con questo meccanismo mentale il “Momento Presente” (che è sempre senza tempo), appare come una serie di periodi che sembrano durare non più di due o tre secondi: l’Eterno Presente viene percepito come “presente che passa”. A questo punto potremmo dilungarci ulteriormente sullo sviluppo dell’ego, sulle sue varie identificazioni, repressioni e proiezioni ma così perderemmo di vista il tema prefissato: negare la morte.

Quindi chiediamoci ancora: Cos’è la morte? Chi muore?

In molti percorsi spirituali, quando si parla di morte, si intende la morte dell’ego, il riuscire a vedere l’identificazione che abbiamo con il nostro io e conseguentemente spostarsi in un’altra prospettiva dalla quale osservare le cose in maniera reale (le mortificazioni e le pratiche per annullare l’io sono, dal mio punto di vista, un’aberrazione e una sbagliata interpretazione di cosa significhi trascendere l’ego). A questa morte dell’ego si contrappone la nascita, la ri-nascita dell’esistenza, l’illuminazione, il Risveglio all’Essere.

Gurdjieff dice: “Nascere sta a significare l’inizio di una nuova crescita dell’essenza [...] ma per essere capaci di giungervi, o perlomeno di intraprendere questa via, l’uomo deve morire; questo vuol dire che deve liberarsi da una moltitudine di attaccamenti e identificazioni che lo mantengono nella situazione in cui è. Nella sua vita egli è attaccato a tutto, attaccato alla sua immaginazione, attaccato alla sua stupidità, attaccato persino alle sue sofferenze, forse più alle sue sofferenze che ad ogni altra cosa. Egli deve liberarsi da questo attaccamento. [...] Quando comincia a conoscere se stesso, vede che non possiede niente, tutto ciò che ha considerato suo, le sue idee, i suoi pensieri, le sue convinzioni, le sue tendenze, le sue abitudini, le sue stesse colpe e i suoi vizi, niente di tutto questo pag. 5 gli appartiene: Tutto si è formato per imitazione, oppure è stato copiato da qualche parte, tale e quale. L’uomo che sente tutto ciò, sente la sua nullità. [...] Questa continua coscienza della sua nullità [...] gli darà finalmente il coraggio di morire [...], rinunciare veramente e per sempre a tutti quegli aspetti di se stesso che non sono necessari alla sua crescita interiore [...]: il suo “falso io” e poi tutte le sue idee fantastiche sulla sua “individualità”, “volontà”, “coscienza”, “capacità di fare”, sui suoi poteri, sulla sua iniziativa, sulla sua determinazione, e così via”.

Se riusciamo a vedere oltre le nostre identificazioni ecco che il nostro mondo si espande fino all’infinito: chi muore quando si muore?

Se comprendiamo profondamente che ad ogni nostra inspirazione molte cellule nascono e ad ogni nostra espirazione molte cellule muoiono… cos’è la morte?

Vita e morte in questo momento senza tempo sono una cosa sola. Noi e gli altri, in questo momento siamo una cosa sola. Ieri, oggi, domani in questo momento sono una cosa sola. Tutto e nulla, fuori e dentro in questo momento sono la medesima cosa. Solo un pensiero può dividere Tutto, solo una nostra identificazione può illusoriamente frantumare la realtà di ciò che è.

Cos’è la vita? Cos’è la morte?

Chi nasce? Chi muore?

 

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