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Trimle ott – dic 1999 n° 4 Anno I

Incontro inter-religioso?   l’esperienza de La Pagoda   a cura di R. Savini

Namo Kwanseum-bosal!

Evam me suttam (così io ho udito) I DISCORSI DEL BUDDHA

Lettera alla Pagoda    di Massimiliano Foglini





Incontro inter-religioso?   l’esperienza de La Pagoda   a cura di R. Savini

Anche la religione partecipa a quella drammatica lacerazione che caratterizza ogni momento della nostra esistenza: differenze, divisioni e conflitti da un lato e dall’altro, tentativi spesso fermi, ma quasi mai risolutivi, di superare le differenze ritrovando l’unità. Il più delle volte tutto si risolve in un ennesimo modo di aggregare qualcuno alla “nostra” verità, cioè di ricercare qualcuno che ci faccia sentire “più” forti, “più” sicuri, che in ogni caso confermi che noi siamo i depositari del “sapere”. Forti e sicuri per “quanti” siamo, sia perché ci possiamo compiacere del gran numero di adepti, oppure perché possiamo ritenerci la minoranza eletta: in ogni caso manifestando i diversi volti della presunzione e dell’arroganza. Tutto sembra l’inutile ripetizione di un gioco delle parti, in cui l’unica dimensione davvero acquisita è quella della nostra radicale povertà spirituale. Ma siamo sicuri che mentre viviamo questo sogno illusorio, stiamo facendo noi e voi ciò che ci potrà veramente appagare? Tutti, indistintamente, soltanto con il nostro vivere e proprio perché viviamo, siamo alla ricerca della “grande risposta”, all’ansioso e incessante anelito proteso verso la verità-felicità, tutti di qualunque religione, fede, credenza, anche chi semplicemente cerca di vivere senza porsi problemi, accontentandosi della quotidianità. In questo caotico agire i più, purtroppo, creano sofferenza intorno a sé e nel loro stesso animo. Sbattendo caparbiamente la testa contro ogni porta disegnata sul muro, senza riuscire a trovare, tra le infinite “porte illusorie”, l’unica che veramente possa dare una risposta. Trovando questa porta allora veramente potranno superarsi le differenze, i conflitti e le incomprensioni. Ma allora la ricerca della vera felicità si risolverebbe nel proprio annullamento in una indistinta unità delle diverse fedi religiose? No, ci sembra che il varco che risponde alla Domanda di Bene, quell’”unica vera porta”, è molto simile a quelle disegnate e apparenti e da esse non si discosta; pur cercandola ovunque ci accorgiamo che non è da nessuna parte. Ecco allora che sembra di essere nuovamente daccapo! E invece l’energia che ci spinge a cercare quel varco impossibile davanti a noi, pian piano, anche senza la nostra piena coscienza, gratuitamente, ci educa. Quell’ansia di vita, amore, pienezza si attenua sino a spegnersi proprio mentre il nostro io si arrende, mentre l’amore, fin qui considerato come un’energia prodotta da un soggetto e rivolta ad un’altro o ad altro, si dissolve. L’amore scompare come prodotto, come frutto di un io e si lascia riconoscere nei nostri approssimativi e fallimentari tentativi di esprimerlo come la vera sorgente da cui tutto scaturisce. Tutto, non solo le diverse lingue, non solo i diversi usi, neanche le varie dottrine e neppure le diverse fedi religiose, ma ogni colore di questo mondo così variopinto ed emotivamente così complesso. E quella sorgente non è qui, non è neppure là. Eppure non c’è luogo, stato d’animo in cui non sia. Solo un amore che non sceglie che cosa amare e che cosa detestare o odiare, può riconoscerla, presente ovunque, dappertutto, come la vera essenza di ogni cosa, di ogni stato d’animo. La nostra ricerca di verità, di amore, di totalità si alimenta della passione che spinge ad ascendere la montagna più alta, dove solo pochi riusciranno a giungere: chi più vuole salire altro non fa che dimostrare quanto sia forte l’orgoglio che rafforza il proprio io. Da ogni sforzo che compiamo sulla strada del Bene, dal più banale al più appariscente, possiamo, senza cercare l’impossibile, aprirci al miracolo che ci circonda e ci inabita. Il miracolo dell’amore che è pace, tranquillo sorriso che rasserena. Allora cambia completamente il nostro rapporto con tutto. Possiamo esser protestanti o cattolici, mussulmani o ebrei, buddhisti o agnostici, impiegati o artigiani e ci sentiremo sempre abbracciati dalla stessa invisibile mano della vita e dell’amore. Parlare tutte le lingue degli uomini è possibile, non perché si abbia intelligenza, ma perché il nostro cuore palpita e naturalmente non può che palpitare nel cuore di tutto ciò che vive con noi la stessa avventura: “Mille volti per un Cuore solo”.

Namo Kwanseum-bosal!

di Tae Hye Sunim

Namo al Bodhisattva che ascolta i suoni del mondo! Namo al Bodhisattva che trascende il suono delle onde! Namo al Bodhisattva dell’oceano della vita! Kwanseum-bosal per tutti gli esseri sofferenti! Kwanseum-bosal per i perseguitati che ritornano nelle case bruciate! Kwanseum-bosal per i soldati che obbediscono agli ordini del terrore! Kwanseum-bosal per i contadini nei paesini tranquilli! Kwanseum-bosal per quelli che al momento della morte sentono il tocco delle mani tenere! Kwanseum-bosal per quelli che muoiono abbandonati, odiati e ammazzati! Kwanseum-bosal per i meninhos de la rua! Kwanseum-bosal per gli abitanti delle ville di lusso! Kwanseum-bosal per gli animali massacrati! Kwanseum-bosal per i macellai e i loro figli! Kwanseum-bosal per quelli che mangiano animali massacrati, ciarlando dell’amore di Dio! Kwanseum-bosal per gli amici degli animali, che hanno il cuore triste! Kwanseum-bosal per quelli che dicono parole dure! Kwanseum-bosal per gli offesi e gli umiliati! Kwanseum-bosal per i dotti, ubriachi di parole! Kwanseum-bosal per i saggi silenziosi! Namo Kwanseum-bosal nel nostro cuore! Kwanseum-bosal, Kwanseum-bosal, Kwanseum-bosal! Kwanseum-bosal (in sanscrito: Avalokita bodhisattva) è il bodhisattva della grande compassione. Nell’arte buddhista è rappresentato sia in forma maschile che femminile.

Evam me suttam (così io ho udito) I DISCORSI DEL BUDDHA

La parabola della zattera (Majjhima – Nikaya):

Un uomo, percorrendo una strada maestra, arrivò ad una grande distesa d’acqua la cui sponda opposta era sicura ed amena, ma non vi era né battello per traversare né un ponte per passare. Egli pensò: “Non vi è alcun mezzo per attraversare la laguna, però potrei raccogliere rami, stecchi e fogliame e costruire una zattera”. E l’uomo raccogliendo rami, stecchi e fogliame costruì la zattera e, per mezzo di questa, aiutandosi con le mani e con i piedi, riuscì a trasferirsi in salvo sull’altra sponda. Ora, dopo aver attraversato il guado, ormai al sicuro, l’uomo potrebbe pensare: “Questa zattera mi è stata di molta utilità, mi ha permesso di salvarmi; potrei caricarla sulle mie spalle o sulla mia testa e portarmela dietro nel cammino che segue”. Che cosa ne pensate voi, o monaci, quest’uomo farebbe un giusto ragionamento e intraprenderebbe così un’azione conveniente? Oh no, signore, risposero i monaci. Che cosa dovrebbe farne quest’uomo della sua zattera una volta passato il guado? Non dovrebbe egli pensare: “Questa zattera mi fu assai utile, ma ora che sono giunto all’altra sponda è meglio che la lasci sul terreno o la sommerga nell’acqua affinchè possa proseguire il mio cammino con maggior speditezza? Così facendo agirebbe saggiamente. Ugualmente, o monaci, la Dottrina insegnata da me è fatta per superare gli ostacoli non per conservarla come dogma. Comprendendo la Parabola della Zattera liberatevi, quindi, anche dai buoni attaccamenti come già avete fatto per quelli considerati cattivi.

Lettera alla Pagoda di Massimiliano Foglini

Prima di costituire l’Associazione Culturale La Pagoda, come è mia abitudine fare prima di prendere qualche importante decisione, mi recai al monastero Santacittarama per chiedere consiglio e avere suggerimenti a riguardo; in quell’occasione era con me anche Luca Rustici. Dopo i convenevoli saluti, ci sedemmo nella sala di meditazione in compagnia di Achaan Chandapalo (abate del monastero), e dopo avergli dato alcune spiegazioni a riguardo delle nostre intenzioni di costituire un’associazione che si occupasse anche della manutenzione del Tempio, Chandapalo ci disse che il nostro progetto era molto interessante e che valeva la pena cercare di realizzarlo, ma la cosa più importante doveva essere il nostro atteggiamento, cioè, fare tutto questo senza attaccamento: “Se vi riesce, va bene; ma se non vi riesce, va bene lo stesso”. Mi ricordo che ritornando ad Arezzo provavo una sensazione di leggerezza, non avevo la preoccupazione di “dover” fare qualcosa, ma nello stesso tempo ero stimolato dal poter realizzare qualcosa condividendolo con tutte le persone interessate a quel progetto. Ho raccontato questo piccolo episodio, perché quel consiglio di Chandapalo, penso sia utile a tutto il Sangha della Pagoda. Credo che tutti i membri dell’associazione desiderino che il Tempio venga donato e che la questione si risolva positivamente e nel più breve tempo possibile, ma mi auguro che questo non sia un fattore determinante per l’impegno alla pratica meditativa, anzi, spero che la situazione che si è creata sia o diventi materiale per la pratica: un pretesto per OSSERVARE il nostro comportamento di fronte alle difficoltà, un occasione per sviluppare la PAZIENZA (e non la rassegnazione) nei confronti del lungo lavorio burocratico, ma anche per RINUNCIARE a false aspettative segno di una sofferenza causata dall’ATTACCAMENTO, sia per le proprie convinzioni che per qualsiasi altra cosa (Pagoda compresa). E’ importante, in tutto questo, avere FIDUCIA nella pratica, e per fare questo occorre che la pratica non sia vincolata dal nostro stato fisico né da quello mentale e quindi nemmeno dall’esito che potrà avere la questione Pagoda. Impegnarsi affinchè tutto si risolva per il meglio, è una buona cosa, ma non sempre i nostri sforzi possono dare i risultati voluti, non tutte le questioni dipendono da noi, non tutti pensano che la soluzione migliore sia quello che noi abbiamo in testa e non è detto che lo sia. Io in tutto questo vedo un’occasione per praticare la SAGGEZZA, la retta comprensione: riusciamo ad accettare le cose così come sono? Riusciamo a vedere il nostro desiderio che la Pagoda ci venga donata, che i vicini ci sorridano ogni volta che ci vedono, senza trasformare queste semplici percezioni in tensione, avversione e quindi motivo di problemi? Riusciamo a vedere i nostri pensieri derivanti da questa situazione, i nostri giudizi a riguardo e anziché esternarli o volerli mandare via, semplicemente contemplarli? (In questo caso creeremo uno “spazio” nel quale lasciar sorgere il discernimento, la saggezza). La cosa veramente importante da fare per La Pagoda è osservare i pensieri, i giudizi, gli insulti, i commenti, e tutto ciò che emerge, perché la consapevolezza di tutto quello che passa nella mente ci disidentifica dai contenuti mentali, ci porta verso l’incondizionato, verso la liberazione. La saggezza è vedere la meraviglia del fluire universale in tutte le cose (impermanenza), è capire che la nostra Vera Natura non è il nostro io, i nostri pensieri, il nostro corpo, non è quello che dice la nostra mente. Le difficoltà che ci offrono le situazioni complicate (come potrebbe essere questa della donazione della Pagoda), il disagio che possiamo provare quando le nostre idee vengono contrariate (come a volte succede quando cerchiamo di risolvere la questione Pagoda), possiamo utilizzarle come oggetti di pratica, possiamo trasformarli in lievito per qualche altra cosa, in gradini per salire al primo piano, possiamo, grazie a queste cose, assaggiare il sapore della non-identificazione, della libertà. E quindi, in conclusione, vorrei ringraziare l’opportunità di praticare che mi offre la Pagoda e tutto il suo Sangha, sia in senso positivo che in quello negativo, perché è grazie all’energia, alla forza che mi dà il frequentare persone e luoghi come questo che la mia pratica matura, che le mie illusioni svaniscono.

Anno I n°4 (ottobre-novembre-dicembre)

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