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Trimle lug – sett 2002 n° 3 Anno IV

  • Dal Vinayapitaka
  • Ritorno al presente ( Massimiliano Foglini )
  • Non cercate per voi stessi (Gabriele Mencarelli)
  • Vesak 2002 (Rodolfo Savini)
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    Anno IV n°3 ( luglio-agosto-settembre )

     

    Dal Vinayapitaka dei Dharmaguptaka…

    Allora, dopo il pasto, disse il Beato ai cinque monaci: “O monaci, la materia è priva di sé. Se la materia fosse il sé, il corpo non crescerebbe e non si sentirebbe il dolore. Se la materia fosse il sé, si dovrebbe esercitare la propria volontà su di essa senza ostacolo, assumere la forma che si desideri o lasciar quella che dispiaccia. Proprio poiché la materia è priva di sé, il corpo cresce e si sente dolore, e sempre per questo non si può assumere a volontà la forma che si desidera né lasciare quella che dispiace. Lo stesso vale per le sensazioni, per le percezioni, le composizioni mentali e la coscienza”.

    “O monaci, la materia è permanente o transitoria?” Risposero i monaci al Buddha: “O Beato, la materia è transitoria”. Disse il Buddha: “Se la materia è transitoria, è dolorosa o piacevole?” Risposero i monaci al Buddha: “O Beato, la materia è dolorosa”: Disse il Buddha: “Se la materia è transitoria e dolorosa, è dunque soggetta alla legge della trasformazione. Pensate allora questo: “La materia è me, o è altri, essa appartiene ad altri, o essa m’appartiene?”: “No”. “Lo stesso vale per le sensazioni, per le percezioni, per le composizioni mentali e per la coscienza”.

    “Perciò, o monaci, non c’è materia, sia essa passata, futura o presente, interna o esterna, grossolana o sottile, bella o brutta, lontana o vicina, che sia me o altri, che appartenga ad altri o a me. Bisogna produrre questa considerazione corretta, conforme a realtà, questa conoscenza, questa sapienza. Lo stesso vale per le sensazioni, per le percezioni, per le composizioni mentali e per la coscienza.

    Così, o monaci, il santo discepolo, dopo aver compreso questa considerazione, è preso da disgusto per la materia. Essendone disgustato, non si attacca più ad essa. Non attaccandovisi, ottiene la Liberazione. Liberato, acquista cognizione della sua liberazione: “Le mie nascite sono esaurite, la mia condotta pura è stabilita, il mio compito è adempiuto, non avrò più un’altra vita”. Lo stesso vale per le sensazioni, per le percezioni, per le composizioni mentali e per la coscienza.”

    Quando il Beato ebbe predicata questa Dottrina, il pensiero dei cinque monaci fu liberato da tutte le sue impurità e poterono allora far nascere la cognizione della Liberazione senza ostacolo. In quel momento, vi furono in questo mondo sei Arhant: i cinque discepoli e il Tathàgata, Arhant, completamente e perfettamente Svegliato

    Ritorno al presente di Massimiliano Foglini

    La vita è piena di sofferenza, ma è anche piena di meraviglie: l’azzurro del cielo, la luce del sole, lo sguardo di un bimbo. Soffrire non basta, dobbiamo anche essere in contatto con le cose stupende della vita, dentro di noi e attorno a noi, ovunque, a ogni istante.

    Quando affermiamo che la vita si vive solamente nel momento presente sembrerebbe di parlare della cosa più ovvia, ma in realtà passiamo molto più tempo a fantasticare su cosa faremo-diremo-comporteremo o a ripensare a cosa abbiamo fatto-detto-come avremmo dovuto comportarci, che a viverci quello che ci sta capitando nel presente.

    Nel Dhammapada c’è scritto: “La consapevolezza è la via della non-morte, la distrazione è la via della morte. Chi è consapevole non muore, chi è distratto è come fosse già morto“. Vale a dire che se non viviamo con consapevolezza il momento presente è come se fossimo morti. Allora domandiamoci: siamo vivi o siamo morti? Onestamente devo dire che io sono mezzo moribondo… rischio di affogare quotidianamente nel mare del samsara, nel mondo dell’illusione.

    Il samsara è il regno dell’io, dell’apparenza, dove governa la legge dell’attrazione-repulsione-indifferenza. Le nostre fantasticherie ruotano tutte su questo ipotetico io che vuole ottenere un sacco di cose buone, comportarsi in maniera brillante, oppure che non vuole delle cattive condizioni fisiche, pessimi stati d’animo, sgradevoli emozioni, mentre tutto il resto che non viene classificato come “mi piace o non mi piace” passa inosservato o quasi. Il samsara è il mondo dell’abitudine, della distrazione, della reattività.

    E’ possibile uscire fuori dal samsara, dall’illusione, da dukkha? Il Buddha ci garantisce che ciò è possibile e ci indica la Via per uscire dalla sofferenza. Una caratteristica di questa Via è proprio il dimorare nel presente: “Non inseguite il passato. Non perdetevi nel futuro. Il passato non c’è più. Il futuro non è ancora arrivato. Guardando profondamente la vita come è proprio qui e ora. Il praticante dimora nella stabilità e nella libertà”.Una delle incomprensioni più frequenti riguardanti la pratica è quella di pensare che “tutto quello che facciamo sia pratica“, mentre l’Insegnamento ci indica chiaramente di mettere le nostre energie nel “guardare profondamente”, nella consapevolezza di ciò che sorge nel presente. Praticare quindi, significa guardare con discernimento tutto quello che ci accade nel momento presente. Guardare con interesse e determinazione gli stati mentali presenti, piacevoli o spiacevoli, ci mette in relazione con essi in una maniera diversa, una maniera più libera dall’io-mio che preferisce gli uni e detesta gli altri. Imparare a rapportarci con meno identificazione nei confronti del nostro corpo e della nostra mente ci permette di vedere le cose da un’altra prospettiva, di vivere la vita in maniera non egoistica, non divisa.

    Il Buddha ci ricorda anche di non inseguire il passato e di non perderci nel futuro. Questo non vuol dire che non dovremmo avere più pensieri riguardanti a quello che faremo o a quello che abbiamo fatto, ma di non attaccarci, di non identificarci con i ricordi passati o i progetti futuri. Ci insegna inoltre che non dobbiamo “essere sopraffatti dal presente“, cioè ci mette in guardia sulla maniera errata di stare nel presente, nel senso di identificarci nel presente con il corpo o le dimensioni mentali (sensazioni, percezioni-memoria, pensiero discorsivo, volizione, immaginazione, emozione, coscienza): Cosa significa “non essere sopraffatti dal presente”? Se qualcuno studia e conosce il Risvegliato, i suoi insegnamenti [...] e pratica i loro insegnamenti, e non pensa: “Questo corpo è me; io sono questo corpo. Queste sensazioni sono me; io sono queste sensazioni. Questa percezione è me; io sono questa percezione. Questo fattore mentale è me; io sono questo fattore mentale. Questa coscienza è me; io sono questa coscienza”, allora quella persona non è sopraffatta dal presente.

    Corrado Pensa commentando questo passo dove si indica cosa non si dovrebbe pensare dice: E’ qui descritta, in sostanza, la fabbricazione dell’io-mio, ci si rapporta con un senso di appropriazione a tutto quello che capita, al corpo e alla mente: il contrario del non attaccamento e dell’equanimità. Una situazione di estrema reattività e identificazione, quindi di separazione estrema.

    Ritornare al presente significa lasciare andare quei meccanismi di identificazione che ci impediscono di vedere con chiarezza cosa realmente sta accadendo nel “qui e ora”. Ritornare al presente significa coltivare quella capacità di accettazione capace di farci prendere cura di noi stessi in qualunque situazione ci troviamo. Ritornare al presente significa mettere energia nella pratica. Adesso. Presenti nel presente!

    (Thich Nhat Hanh)

    Non cercate per voi stessi di Gabriele Mencarelli

    Sento di dire a tutti coloro che sono nel pellegrinaggio di questa vita, e soprattutto a quelli mossi dallo spirito della ricerca, di non cercare per se stessi. Di non praticare o pregare per cercare la propria illuminazione, liberazione o comunione con Dio, non per divenire illuminato, liberato o in comunione con Dio, e ancor meno direi di praticare o pregare per ottenere agi, piaceri, comodità di alcun tipo, ma di praticare o pregare con volontà e dedizione per illuminare tutti gli esseri, per liberare tutti gli esseri dal samsara, tutti nessuno escluso.

    Che cosa si può ottenere di pieno, se si ricerca la liberazione per noi stessi? O se si ricerca la verità per renderla conosciuta solo a noi stessi? Che fine ha la liberazione se raggiunta solo per noi stessi, se non il fine dell’egoismo?!

    Invece pratichiamo o preghiamo dimenticando il nostro fine e dedicando tutti i frutti che ne nascono agli altri senza trattenere nulla egoisticamente.

    La credenza di esistere in quanto esseri distinti e separati dagli altri è illusione, la credenza di una Mente separata è illusione. Come potrò io essere libero se tutti non sono liberi? E come sarete illuminati voi se altri sono nell’ignoranza? …che forse siamo gli uni una mente o un’entità separata dagli altri? C’è forse divisione?

    Non c’è separazione, non ci sono due Menti.

    Se molti soffrono tutti soffriamo, se molti peccano tutti pecchiamo, se io ho un difetto anche quello è tuo; così se voi avete virtù, liberazione, saggezza e vera comprensione anche quello sarà mio e di tutti gli altri esseri numerosi quanto è vasto tutto lo spazio.

    Orsù dunque, la nostra motivazione diventi quella di ottenere il risveglio per donarlo e dedicarlo a tutti gli esseri, senza trattenere nulla.

    Buon viaggio!

    “Fin tanto che ci saranno gli esseri senzienti,

    fin tanto che esisterà il tempo,

    io rimarrò per servire,

    per dare il mio piccolo contributo

    al benessere degli altri”

    Shantideva.

  • Vesak 2002 di Rodolfo Savini

    Era già passato il plenilunio di maggio, da una domenica era iniziato giugno. Eppure per noi, alla Pagoda, è stata l’occasione per ricordare la totalità dell’esperienza del Buddha: la cerimonia del Vesak. Occasione vissuta in tutto il mondo buddista per partecipare alla nascita, all’illuminazione e alla morte del maestro.

    Quest’anno la partecipazione è stata più originale, meno numerosa infatti la partecipazione italiana, mentre più nutrita quella cingalese. In questo modo abbiamo potuto partecipare non solo ad una cerimonia religiosa, ma a qualcosa che ha fuso questa valenza con usi e costumi tradizionali dello Sri Lanka insieme alle radici di una cultura a cui basta una “pagoda”, per ridar vita ad un’esperienza che ci riporta al tempo del Buddha. Questi amici, così lontani dalla loro terra, sono riusciti a rendere presente, a regalarci, un momento del loro tempo e del loro spazio. Già il giorno prima Mahendra era venuto a rinnovare la facciata esterna del Tempio, riverniciando la cupola di bianco, come usa nel suo Paese (e il prossimo anno speriamo di poterla aggiustare dandole una forma più circolare).

    La partecipazione del ven. Nandasiri del Samadhi Vihara di Firenze, insieme ad altri concittadini cingalesi da Firenze, Pistoia, Lucca, Prato, ha arricchito l’apertura dell’incontro. Mentre in molti ci davamo da fare per preparare le luminarie, disporre le bandierine colorate lungo la strada, all’ingresso del Tempio, altri, soprattutto le donne, disponevano i piatti tradizionali, completavano la preparazione del cibo. Quando i preparativi era giunti a termine, il venerabile Nandasiri ha tenuto un discorso, che una ragazza ha in parte tradotto in italiano (molti sono i giovani cingalesi che studiano in Italia e parlano con immediatezza la nostra lingua).

    Il tema principale è stato un invito a frequentare con più continuità la Pagoda anche da parte dei cittadini dello Sri Lanka (e non solo in questi incontri tradizionali). Una proposta è stata quella di invitare periodicamente un monaco, una volta al mese, per esempio, così da offrirgli il pranzo (come si usa nella tradizione buddista), ricevere un insegnamento e coltivare la pratica meditativa.

    Dopo questa cerimonia c’è stato il momento in cui abbiamo fatto le nostre offerte al Buddha, non solo di fiori e candele luminose, ma anche di cibo. Le offerte passavano così di mano in mano finché non venivano poste intorno alla statua di Buddha.

    L’offerta di cibo al monaco è un’occasione molto sentita per coltivare la comunione con il discepolo del Sublime. Ognuno prendeva un piatto e, avvicinandosi al monaco, gli offriva il cibo nella misura in cui lo gradiva. Dopo il suo pranzo, c’è stato il nostro. I piatti dello Sri Lanka ci hanno ricordato sapori e colori di Paesi lontani. Prevalgono in genere piatti piccanti, ma si può trovare ugualmente cibi meno saporiti.

    Dopo pranzo una bellissima novità è stata offerta da una giovane cingalese che, accompagnata dalla musica, ha dato vita a balletti tradizionali che hanno espresso l’intensità di quel popolo e che sono stati condivisi con una vivace partecipazione. Un grande applauso ha permesso di abbracciarla con il calore di tutti i partecipanti. A metà aprile, a Firenze, si era svolta per la prima volta una bella manifestazione al Teatro Puccini dedicata proprio alle danze dello Sri Lanka! Anche la Pagoda non è stata da meno!

    Nel pomeriggio si è svolta la tradizionale asta rivolta a finanziare l’attività del Tempio e dei monaci che lo frequentano. Molti partecipanti avevano portato , come libera offerta, oggetti che venivano messi all’asta. È stata una simpatica occasione quella che ci ha accomunati nel alzare le offerte, non tanto per le cose che venivano mostrate, ma per sentirsi partecipi di un’esperienza che aiuta tutto il Tempio. Molto forte emotivamente è l’ultima asta in cui, davanti ad un recipiente colmo di fiori, simbolo del Buddha, ognuno offre liberamente una somma di denaro che si assomma alle precedenti e che le successive rendono ancora più nutrita. In questo modo ognuno, dando un centesimo e più, senza distinzioni, contribuisce a rendere sempre più ricca l’offerta per l’attività di tutta la Comunità.

    Con il farsi della sera però la cerimonia acquista il suo più suggestivo valore: le luci che arricchiscono le diverse insegne cominciano a risaltare. La presenza dell’uomo trova così, nel fascino che i colori e le luci diffondono, l’occasione per farsi più ricca e comunicativa. In quelle luci c’è il riflesso di Paesi distanti e di uomini lontani che sanno farsi sentire donandoci quel colore che riscalda l’intimo di ognuno.

    Ornamenti esteriori

    e pensieri apparentemente spirituali

    sono irrilevanti

    se all’interno regna la confusione.

    (Dhammapada)

     

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