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Trimle gen – mar 2010 Anno XII

Trimestrale  n° 1  Anno XII  gen-mar  2010

 

In ricordo di Marta

esperienza, amicizia, conoscenza

 

 

 

 

Questa è solo la storia di un amore fra due persone,

e come tutti i microcosmi, una piccolissima storia di un amore grande

di Luciano Volpi

 

Con la speranza che questo messaggio arrivi di M. Fusai e L. Petroni

Ciao Marta    di Massimiliano Foglini

Lasciare è trovare?   di Rodolfo Savini

Riflessioni sulla Condivisione delle Benedizioni  

La Via del Mistico    Sister Ajahn Medhanandi

  Questa è solo la storia di un amore fra due persone,

e come tutti i microcosmi, una piccolissima storia di un amore grande.

Le nostre esistenze, ormai non più in una età giovanile, trascorrevano alla ricerca di serenità, ogniuna col proprio bagaglio culturale e di sperienze, ma sicuramente entrambe protese verso gli altri esseri umani.

Il peso della fine delle nostre convivenze di coppia con gli entusiasmi ormai svaniti nella memoria, il peso di una civiltà sempre più egoista ed individualista, non ci faceva certo sperare che la vita potesse ancora riservarci tanta bellezza e intensità.

Poi un giorno….. chissà perchè, ci siamo guardati con occhi diversi, più luminosi, le nostre paure e le nostre difese si sono sbriciolate sotto una forza incontenibile e così è iniziato questo splendido viaggio insieme.

Ci siamo costruiti la nostra casa, un luogo dove scaldarci non solo col calore della passione e della tenerezza, abbiamo cercato di costruire il nostro rapporto sul rispetto e l’uguaglianza basandoci sul concetto di onestà e provando ad entrare in zone inesplorate delle nostre intimità.

Abbiamo vissuto i problemi della convivenza, la noia, la monotonia e anche qualche incomprensione, ma non ci siamo mai smarriti e le nostre mani e le nostre labbra si sono sempre ritrovate, così come quel senso di comunione.

Poi un giorno….. chissà perchè, improvvisamente è arrivata la tua malattia e ci ha messi alla prova. Hai dovuto lasciare il lavoro, la guida dell’auto e non sempre potevi uscire di casa da sola. Abbiamo trovato un nuovo equilibrio, io sono diventato più protettivo e tenero, tu hai sempre cercato di rasserenare chiunque non perdendo mai il tuo sorriso e l’interesse per gli altri. Andavamo in giro con la paura di fianco, ma eravamo insieme modificando le nostre vite alle nuove esigenze, fino a quando la malattia ha ripreso con violenza il suo cammino distruttivo e gli equilibri si sono dissolti.

Hai dovuto affrontare molte sofferenze, oltre a quelle fisiche, forse la peggiore, la completa dipendenza. Eppure persino nei momenti in cui non potevi controllare la mente riuscivi a trasmettere il tuo amore per chi ti stava vicino.

Poi un giorno….. te ne sei andata, sei morta fra le mie braccia, il respiro si è fermato e lo sguardo è tornato sereno, intorno a te un senso di liberazione.

Grazie Marta, grazie amore mio, per essere passata così intensamente nella mia esistenza ed avermi regalato il periodo più bello della mia vita. Mi hai insegnato tanto, per esempio ad allontanare la rabbia e il rancore ed a vedere con occhi diversi il conflitto. Ed ancora, nell’ultimo periodo credo di aver capito anche il significato di “compassione” che tu amavi tanto. Grazie amore mio!

 Luciano

La monaca  Pitacara, in una delle sue poesie, vividamente paragona i corsi d’acqua che scorrono lungo un pendio a diverse lunghezze di vita dell’essere umano. Alcuni torrenti affondano molto presto nella sabbia mentre discendono, altri più lentamente, alcuni invece, raggiungono la base del pendio e poi affondano nella terra. E così è con gli esseri di questo reame, alcuni vivono solo pochi anni, alcuni fino alla mezza età, e altri anche fino alla vecchiaia, ma tutti alla fine si arrendono alla morte. (Therigatha 112-116).*

 

 Con la speranza che questo messaggio arrivi

“Non esiste separazione definitiva finchè esiste il ricordo.” Così ha scritto Isabel Allende nel suo bellissimo libro ” Paula”, dedicato alla figlia prematuramente scomparsa. E’ proprio il ricordo, un filo sottile e tenace, che ci consente di non perdere definitivamente chi abbiamo amato. E chi, come Marta, ha lasciato dietro di sè una grande “eredità d’affetti” non può non essere ricordata da tutti coloro che l’hanno conosciuta. Voler bene a Marta era naturale: non si poteva non farlo, perchè ti sentivi subito amato ed apprezzato. Io e Ludovico l’abbiamo frequentata soprattutto negli ultimi mesi della sua vita e non dimenticheremo mai il sorriso e le parole con le quali invariabilmente ci accoglieva quando entravamo nella sua stanza d’ospedale:” Come state?” Ecco, in questa semplice richiesta secondo noi è racchiusa l’essenza più autentica di Marta. Pur ammalata e sofferente, la sua attenzione verso gli altri non è mai venuta meno, perchè la sua vita è stata caratterizzata da una metta autentica, una disposizione amorevole verso tutte le creature che non si è spenta neppure negli ultimi giorni della sua vita: E’ questo il prezioso regalo che Marta ci ha lasciato e del quale speriamo di fare tesoro.”

 Marta e Ludo

Ciao Marta 

  Mi risulta difficile scrivere qualcosa su Marta perché è sempre stata una persona da ‘sentire’ e non da pensare… Quando eri con Marta c’era una presenza, lei ti dava attenzione, considerazione, era con te con tutto il suo essere e questo l’ha sempre fatta essere unica e speciale. Con lei non potevi far finta o fare discorsi così per discutere, si finiva sempre per parlare della propria intimità, dei problemi, delle gioie, delle cose della vita così com’era e come sempre sarà.   

Ecco, parlare della vita così com’è, è parlare ancora con Marta. Ogni volta che parlo di come stanno le cose, di come la vita è nella sua essenza, senza pregiudizi, senza voler cambiare le carte in tavola, ogni volta che mi confido, che racconto i miei problemi, le mie difficoltà, ma anche dei miei sentimenti, delle profondità dell’esistenza è come se Marta ascoltasse, fosse presente in quanto consapevolezza perché lei ha sempre ascoltato e accolto tutti quelli che a lei si rivolgevano e sempre ha avuto parole di verità. Mai l’ho sentita accondiscendente quando qualcosa non le tornava: una persona vera. Le sue credenze erano viste tali. I suoi pensieri erano visti come pensieri. Le sue emozioni erano quelle che ti diceva e così i suoi sentimenti… Una persona vera, e una persona vera in questo mondo è una persona rara. Marta era una persona speciale che speciale non voleva essere…

Dicono che Marta è morta ma per me che Marta l’ho vista morire e soffrire attimo per attimo insieme a Luciano (compagno di sempre), fino a spegnere l’ultimo respiro, Marta non morirà mai, almeno fino a quando il mio cuore batterà perché il mio cuore porterà per sempre con sè tutti quei ricordi, immagini, sorrisi, parole, quelle intuizioni che oltre la nostra vita rimarranno per sempre nel cuore dell’umanità… diceva Marta: chiamatelo Dharma!

 Grazie di tutto, Massimiliano

Una volta il Beato chiese ad un uomo che piangeva la morte di suo padre: “Per quale padre ti stai affliggendo, il padre di questa vita, o dell’ultima vita, o della vita prima di quella. Poiché, se uno volesse addolorarsi, allora farebbe bene ad addolorarsi anche per gli altri padri.” (Jataka 352)*

Lasciare è trovare?

Di solito lo chiamiamo, secondo l’insegnamento del Buddha, “attaccamento”. Il “trattenere a sè è l’espressione  di quel sentimento che emerge dentro di noi ogniqualvolta la vita ci  scivola di mano. 

 Spesso è l’altalena monotona di un’insoddisfazione in cerca di sazietà. Sono amori che si dimenticano, sono amori che ci fanno cozzare contro la muraglia del “non è possibile che …”. Da un lato un’insoddisfazione, da un altro una ferita alla nostra motivazione, la depressione o l’impuntatura rabbiosa, o ancora un insulto lanciato nello spazio. Pag.4                                 E’ l’incontro con l’orologio inesorabile del tempo che ci avvicina a quel passo doloroso.

 Non si può racchiudere tutto nella morsa dell’attaccamento. L’amore è tutt’altro dagli amori, l’amore è singolare e non ha alternative. Spesso si inceppa davanti all’insuccesso, all’incomprensione sociale. Può essere l’estrema insurrezione di una vita che non riesce ad avere l’essenziale. Può divenire un togliersi da torno o un togliere da torno.

 L’attaccamento può anche costituire un’esperienza trasparente. Può non essere un’energia che cozza contro la vita. Può essere la percezione di quella carezza che la vita ci fa di momento in momento con il trascorrere del tempo. Ce ne accorgiamo tardi e spesso sopraggiunge come uno schiaffo insopportabile. E’ la carezza dolorosa che ci fa volgere lo sguardo all’inevitabile fluire del tempo. L’amore è la dimensione che ci ricorda che avere non è trattenere, è un “vivere-con”, un convivere, un condividere. L’amore è cioè l’espressione più semplice della relazione. Quanto sovrappiù lo arrugginisce.  La carezza del tempo nelle nostre relazioni si sviluppa verso ogni cosa che è “altro”, non solo esteriormente ma anche dentro di noi si avverte il suo tocco. E’ l’avventura e il dramma di ogni coscienza che può solo conoscere, ma non può conoscersi. Più è protesa altrove più la sua mano diviene una stretta soffocante, più si volge a sè e più trova un vuoto che non le dà risposta.

 Questo tocco del tempo, sospinto dai nostri sensi e dalla nostra mente incontra cose che non rispondono, che sono semplicemente lì, alla mercè di una mente pronta a manipolarle. Può  incontrare “cose” che le rispondono come quel cucciolo che scodinzola quando lo chiamiamo o quel gatto in cui vediamo una libertà che abbiamo dimenticato. Soprattutto tra persone questo tocco del tempo si fa sentire. Basta lo sguardo di un altro per accendere la gioia dell’incontro, che il tempo fa svanire se non si riesce a stare in equilibrio sul suo scorrere.

 Quanta semplicità di cuore manca  nel nostro animo. E’ lei la  grande maestra che sa dare e sa ricevere. Quando la  vita altrui e la mia si intrecciano nel gioco dell’esperienza non sempre si riesce a gustare la dolcezza dell’amore. Forse non serve neanche, tanto si è dentro all’amore stesso.                                                                                      

Quando il tempo dell’altro  rallenta, quando la malattia sembra arrestarlo, l’amore ha bisogno di qualcosa in più. Gli serve la condivisione di un tempo diverso, non più di quello che giocoso ci porta altrove, ma di quello acerbo che struscia sulla pelle col suo non-scorrere.

 Quanto amore è messo alla prova, quanta sofferenza si accende tra una vita che scorre e quella che frena, tra la vita che va e la malattia che la nega. A chi non verrebbe da fuggire, da negare, da risolvere con la dimenticanza o con alternative ammiccanti che rimettano in circolo.

 Tra la vita e la morte, e ancor più tra un cuore che ancora cerca e uno che si ammutolisce nel mistero della non-vita si accende la domanda del perchè la sofferenza o ancora del come viverla sulle due sponde.

 La società, con le sue abitudini e costumi, scienze e religioni, anticipano le risposte. Ma l’individuo può essere qualcosa di più della società se sa conoscersi. L’amore è qualcosa di più della società se sa incontrare il non-condizionato, se è al di là dell’opportunismo. E’ lì che si accende, nell’intimità del cuore, l’indicazione della via. L’amore è l’amante dell’amore, ma quando la luce ama l’oscurità e l’oscurità ama la luce allora non c’è più l’amante ma c’è solo l’amore.

 Rodolfo

 Nella storia di Kisogatami, quest’insegnamento è stato meravigliosamente riportato in vita. Aveva fatto un buon matrimonio, nonostante la sua povertà e l’aspetto poco attraente, e quando diede alla luce un bimbo, ottenne finalmente l’approvazione dei parenti acquisiti. Improvvisamente il bambino morì. Niente poteva essere più tragico per Kisagotami che si rifiutò di accettare la morte del suo figlioletto. Disperata, andò a trovare il Buddha col bambino tra le braccia, credendo che il Beato potesse risuscitarlo.

Il Buddha le chiese di procurarsi una piccola quantità di semi di mostarda, provenienti da una casa dove non era mai morto nessuno. Non potendo trovare casa risparmiata dalla mano implacabile della morte, nella sua mente sorse la visione profonda dell’impermanenza di tutti i fenomeni condizionati. Così Kisogatami fu in grado di andare oltre “la morte dei figli”, oltre la sofferenza. (S.N. 5)*

 

 La Via del Mistico                           Sister Ajahn Medhanandi

Passo tratto dall’articolo pubblicato dall’Associazione Santacittarama insieme a quelli contrassegnati da:  *

 

Per gli esseri viventi ci sono due tipi di morte, uno che conduce alla morte e uno che conduce alla pace, all’illuminazione. Quando portiamo nella nostra mente un sacco di macerie, non stiamo deponendo il fardello. Ci identifichiamo e rimaniamo impigliati nella visione personale, ‘Sono una persona che ha subito violenza ’ o ‘affranta dal dolore ’, oppure ‘Cinque miei amici sono morti di AIDS ed io non ce la faccio proprio ad affrontare la vita.’ Questa è una morte che conduce alla morte.

Ma se siamo in grado di incontrare il momento presente con consapevolezza e saggia considerazione possiamo cominciare a deporre il fardello, ad abbandonarlo e permettere a noi stessi di ricevere il momento successivo con la mente pura, lasciando morire le condizioni che sorgono e il nostro attaccamento. Questo tipo di morte conduce all’illuminazione.

Questa pratica non è per condonare la nostra sofferenza, ma per mettere in questione le nostre supposizioni, per permetterci l’indignazione morale quando ci sono errori, per accettare la nostra umanità. Così proviamo la sofferenza della malattia, il peso del marchio che ci caratterizza, la perdita dei cari, la paura della morte eppure, accogliamo pienamente la vita con consapevolezza compassionevole. Non importa quanta sofferenza la vita ci porti, possiamo sempre tornare a quel punto fermo della conoscenza, al sereno dimorare nel centro della tempesta della vita, ad un porto sicuro.

Come sarebbe se non invecchiassimo mai? E se non ci ammalassimo mai, o se non morissimo mai? Potremmo veramente amare se fossimo qui per sempre? Attraverso la nostra stessa mortalità, impariamo ad amare, attraverso la nostra sofferenza più nera, veniamo portarti oltre la sofferenza ed esposti alla nostra stessa estinzione, possiamo conoscere ciò che dentro di noi è indistruttibile.

Con la fiducia in ogni momento, anche nelle condizioni più terribili, risvegliamo in noi stessi la possibilità di vivere in completa fiducia. Diventiamo più vulnerabili e, allo stesso tempo, più temerari, se non prendiamo rifugio nel dolore. Impariamo a vivere e a morire e ad abbracciare la nostra gioia e la nostra sofferenza.

Riflessioni sulla Condivisione delle Benedizioni

Attraverso la bontà che sorge dalla mia pratica,
possano i miei insegnanti spirituali e guide dalla grande virtù,
mia madre, mio padre e i miei parenti,
il Sole e la Luna e tutte le virtuose guide del mondo,
possano gli dèi più elevati e le forze del male,
gli esseri celesti, gli spiriti guardiani della Terra e il Signore della Morte,
possano tutti gli esseri benevoli, indifferenti o ostili,
possano tutti gli esseri ricevere le benedizioni della mia vita.
Possano essi attingere presto alla triplice gioia e conoscere il Senza-morte.
Attraverso la bontà che sorge dalla mia pratica,
e attraverso quest’atto di condivisione,
possa ogni desiderio ed attaccamento velocemente cessare,
e tutti gli stati nocivi della mente.
Fintanto che io raggiunga il Nibbana,
in ogni sorta di nascita possa io avere una mente retta,
con presenza mentale e saggezza, austerità e vigore.
Possano le forze dell’ignoranza non prendere il potere né indebolire la mia risoluzione.
Il Buddha è il mo rifugio eccellente,
insuperata è la protezione del Dhamma,
il Buddha Solitario è il mio nobile Signore,
il Sangha il mio supremo sostegno.
In virtù del sommo potere di tutto ciò,
possano la tenebra e l’ignoranza essere dissolte.

Traduzione di “Imina Punya…” – testo recitato in genere al termine delle meditazioni per “moltiplicare” gli effetti del cuore.

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