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Diario 16.06.12 – Staffetta della pace: da San Gimignano a Volterra

Sesta Tappa,    sabato    16  giugno 2012

da San Gimignano a Volterra

 

Attraverso tutto il paese verso sud. Mi hanno parlato di una piazza ed eccola, mi hanno parlato di una strada che scende,  subito a destra, e l’ho trovata. A dire il vero non mi avevano detto in che modo scendesse … è quasi un precipizio. È  stretta e ripida, dà proprio l’idea di un scivolo in cui aprire lo zaino quasi fosse un parapendio.

 

Sto scendendo verso il Podere Poggiluglio e pian piano mi sto avvicinando ad un grande punto interrogativo. Sulla carta c’è una area boschiva collinare che è tagliuzzata da sentieri. Le indicazioni sulla carta sembrano però alludere a quelle sterrate che sono state inghiottite o dalla vegetazione o dai terreni, come già avevo avuto esperienza. Con i piedi proseguivo, ma la mia mente era immersa nella perplessità. Aspettavo di giungere al borghetto di San Donato. Solo qui avrei risolto ogni enigma. E’ da qui infatti che prende avvio uno dei tanti sentieri che attraversano “il Bosco”, nome dato alla zona e che si confà al paesaggio.

 

  Passo tra le case, chiedo ad una signora “Forse non le conveniva entrare nel borgo, comunque più avanti troverà la provinciale e tornando un po’ indietro ci deve essere un’indicazione. Non so esattamente dove porti, non l’ho mai fatta”. Il paradosso di visitare posti estranei anche ai loro abitanti si ripete. Comunque sia mi rincuoro, proprio alle spalle del paese, lungo la provinciale, vi è una timida sterrata che fa capolino tra la  vegetazione. Non può sfuggire perchè più paletti ben verniciati indicano le diverse direzioni che hanno proprio in quel punto il loro ‘smistamento’. A questo punto comincia a farsi più chiaro che l’itinerario de ‘I Boschi’ è tutt’altro che abbandonato.

 

 

La sterrata deve essere percorsa anche dalle auto, infatti dopo poco si giunge ad un parcheggio dove più cartelloni esplicativi di dicono che stai per accedere alla ‘Riserva di Castelvecchio’. E’ chiaro che il Comune di San Gimignano trova in questo luogo uno spazio da far esplorare ai propri visitatori o in bici o a piedi. Il tuffarsi tra il verde intricato di questo parco naturale ti spoglia dalle parole. Vieni richiamato al contingente da molteplici quadri con spiegazioni sulla flora e la fauna.

 

 

 

 

Si giunge ad una biforcazione più marcata; in entrambe le direzioni ci si immette, chi di poco più in su, chi di poco più in giù, lungo la strada che scende verso la Bertesca. Prendo la variante che accenna a salire più  verso nord, lasciando l’altra che punta dritta in basso (… c’è sempre da aspettarsi la sorpresa …). Noto il paradosso di una Riserva così rigogliosa e alcuni enormi piloni della luce che la tagliano a metà. Chissà chi è nato per prima se la Riserva o la linea elettrica.

 

 

 

 

  Poco avanti la carrareccia si apre su un ampio falsopiano in cui ti verrebbe la voglia di correre e volare. Se è così ecco allora che ho trovato l’aeroporto! C’è una ampia e signorile fattoria ancora ben messa ma … abbandonata. Sembra fatta apposta per coltivare sogni di spazio e convivenza. Un edificio padronale, alcune case vicine, magazzini, un gioiellino di forno in pietra. Tutto lì, in abbandono, sembra che ogni mattone guardi tristemente il viandante chiedendogli aiuto per non cadere. Il suo nome è Campore. L’unica presenza è una via che silenziosa lo attraversa verso il nulla.

 

Ci vuole ancora un po’ prima di arrivare sull’asfalto. Si attraversa un bosco che fa gola ai taglialegna, macchinari lì fermi pronti a mettersi in movimento. Anche qui un altro cascinale abbandonato, bello anche se imbiancato dal polverone del disboscamento. Eccoci infine sull’asfalto, si prende sulla destra e si prosegue fino al bivio per Pignano. Da qui la strada sterrata proseguirà in direzione di Volterra, sfiorando  vecchi casolari, divenuti estranei a chi passa per la via, quasi mondi a sé, che hanno il perno intorno ad una insignificante pozza d’acqua (chiamata ‘piscina’) dimentichi della loro preziosità. Ricordare la mascherina antipolvere… è una necessità lungo le strade bianche del senese, ogni auto ti fa rimpiangere il traffico di una circonvallazione di città.

 

Giungendo al Palagione c’è la tentazione tremenda di salire sul monte Voltraio. Il sentiero è  stretto, un cartello ne  esclude il passaggio a montainbike e cavalli e destina solo ai passi silenziosi dell’uomo l’onore di percorrerlo. Guardo diritto avanti, sento accanto a me l’attrazione della montagna che via via si attenua al discendere verso valle.

 

 

 

 

La strada bianca si fa più trafficata ed occorre veramente avere qualcosa per respirare e per proteggersi gli occhi. Volterra è proprio qua di fronte, poggia su un colle che dovrò risalire. A  Fontetatti c’è un’altra sterrata che tira su verso Strada ma da qui devi fare i conti con il puzzo e il rumore delle macchine, non hai scampo, il traffico ti schiaccia contri i guardrail. Il chilometro di questo tran tran finisce presto (anche se è in salita …) ed eccoci a San Lazzaro. Volterra è poco alta sulla collina.

 

E’ l’ora di fermarmi ma è anche l’ora di pranzo e i pochi negozi di questa frazione sono chiusi, salvo una pizzeria … Sembra là, qualche scalino più in basso, soffocata dalla strada eppure, a quell’ora, è ciò che mi serve. La prima impressione passa presto. Alle sue spalle la pizzeria ha il piccolo parco di San Lazzaro, con giochi e panchine. Trovo un tavolino, il ragazzo mi rassicura che per loro non c’è orario. Pranzo, nel frattempo esce la madre che gestisce il locale, e cominciamo a parlare e tra le parole me ne esce una “Lei sa se c’è un affittacamere o qualcosa del genere qui vicino?”. Mi guarda come interdetta e stupita: “Non lo sa? Proprio qui vicino c’è l’Ostello!”. Tutto sembra fatto apposta per regalarmi la miglior conclusione della giornata. Telefona per prenotarmi la camera, poi si volge verso di me “E’ ancora chiuso, apre alle 16.00” – “Non si preoccupi, – rispondo – era proprio ciò che cercavo, grazie”. Mi riposo nel giardinetto e , giunte le quattro, con pochi passi (insolitamente pesanti …) sono al “Chiosco delle Monache”. Mi accoglie una ragazza. Tutto apposto, camerata al primo piano.

 

Non era una camerata (anche se c’erano cinque letti) era un salottino riservato tutto a me. Infatti nessuno poi vi arriverà. Lascio il di più e proseguo verso Volterra. Un ragazzino cammina sul corrimano del ponte ma risponde ugualmente alla mia domande “Da quale parte si sale alla Fortezza?” Basta un dito per permettermi di individuare gli scalini che portano in alto alla Fortezza.

 

 

 

 

Il parco è una ampia vallata verde contornata da alberi che qua e là scendono anche verso il basso. Ne trovo uno che diviene la mia ‘fortezza’, all’ombra mi riposo lasciando poi il mio corpo libero ai movimenti yoga e al raccoglimento. L’ora tarda ha fatto già uscire molti visitatori, ma il guardiano ancora non giunge e indugio in questo paesaggio.

 

Al di là delle mura della fortezza vi è il carcere. Chissà come si vede il mondo di qua o di là da quelle mura. Le strade di Volterra sono quel bellissimo labirinto in cui è piacevole smarrirsi. L’intreccio di vicoli fa decantare i pensieri e  sembra che tutto sia fatto apposta per cullare la mente, anche il via vai vivace dei turisti e dei bambini o dei giovani raccolti intorno al ‘loro’ bar.

 

Ormai è sera e non mi va di fermarmi in città. E’ affascinante attraversarla ma è tutt’altra cosa restarvi. Lungo le mura medievali della fortezza mi trovo a scendere verso il giardino del bar, anch’esso più vivace all’ora di cena. Muoversi verso l’ostello è già un volgersi al riposo. La strada silenziosa porta davanti al portone dell’Ostello. Vi è una festa inaspettata. Il salone viene affittato e questa sera si festeggia una laurea. Prendo l’ascensore dall’altro lato dell’edificio per salire al primo piano, la mia ‘camerata’ mi aspetta e anch’io sono contento di ritrovarla.

 

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