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DIARIO 17.06.12 – Staffetta della pace Pagoda-Pomaia: Volterra-Miemo

Settima Tappa 17 giugno 2012   domenica

 

Da Volterra a Miemo

 

 

 

Si lambiscono le mura di Volterra nel risalire da San Lazzaro per andare verso Montecatini. La strada, anche di primo mattino, è trafficata e bisogna prestare attenzione ad un paio di scorciatoie, utili non solo per abbreviare il percorso, ma soprattutto per toglierti dal traffico.

Giungo al bivio, sulla destra,  per Montecatini.  Come è diverso il paesaggio di questa tappa. Niente verde, solo campi, colline appena accennate, un paesaggio in cui gli elementi atmosferici la fanno da padroni, la pioggia, il sole e il vento possono accarezzare o graffiare questa terra senza difesa.

Oggi è una giornata di sole cocente che dalle spalle pian piano ti insegue. L’asfalto sembra luccicare al riflesso del sole. Niente varianti, solo il lungo deserto di campi ormai lavorati ti connette alla strada provinciale, lontana, lontana, ai piedi di Montecatini.  Ormai chiuse le scuole anche i pulman di linea tralasciano più volentieri le loro responsabilità.   I passi divengono veramente ‘la presenza’ al cui cospetto i pensieri si devono misurare. Solo la sete può invadere il corpo e la mente e così pian pian avviene. Nel giungere a vedere Montecatili lassù in alto e non più in una irraggiunginbile meta lontana sull’orizzonte, si incontra un bar e un … benzinaio! La ‘sete’ non guarda in faccia a nessuno!

 

Il paese di Montecatini è là sopra. La strada sembra breve. Le auto proseguono per la via principale, è l’asfalto il loro sentiero. E quelle tra loro che vogliono seguirci, voltando a sinistra,  si troveranno prigioniere tra i margini stretti di un tratturo non risanato. Dopo un agriturismo infatti lo sterrato sembra incoraggiare a proseguire ma poi improvvisamente scompare inceppandovi in diramazioni impossibili tra cui quella che volge,  senza esitazioni, verso l’alto.

 

Si cammina ora fuori da un tratturo recintato. Si verrà a sapere che il recinto era funzionale a non lasciar fuggire gli animali, anche se di animali non se ne vede nessun tranne la chioma di un cavallo fuori dal casolare più in alto.  Poco avanti si rientra nella strada che sale al casolare. Sembra abbandonato, ma i panni stesi e qualche finestra aperta lasciano intendere la presenza di qualcuno e infatti: “C’è qualcuno? C’è qualcuno?” nessuno risponde. Si guarda il cavallo da cui bisogna tenersi lontani. Un cane legato (per fortuna) salta fuori e sembra che neanche la catena riesca a contenere il suo senso di proprietà. Si sente una voce uscire da una piccola finestra ancor prima di vederne il volto. “Serve qualcosa? Ah per Montecatini? Prosegui e  poco avanti svolta sulla destra”.

Così si fa, ma con quella svolta a destra mi trovo al cospetto di un dirupo sconnesso di sassi, così sconnesso che per salire occorre tenersi anche con le mani protese avanti a terra. Tra ciottoli e ghiaione si giunge ad un tratturo ‘lussuoso’ e così si prosegue finchè la strada non si ferma ad un bivio. In giù si va verso Ligia, luogo rinomato per la sua grande fonte che nel 2008 ci è costata una … lunga sosta!!! Allora è chiaro  in quale direzione muovermi, volgo a sinistra e la salita ancora prosegue fino alla piazza del paese.

 

Il primo incontro è con due signore anziane sedute ad una panchina  intente a scambiarsi le parole di sempre. Non so se è stata la mia ‘novità’ o un mio bisogno a condensarsi in una domanda “Scusate, sapete ce c’è una camera in affitto? Da non pagare molto ..” . Si consultano tra loro, anche una voce esce dalla finestra di fronte “Sì è di là”.  Seguo le indicazioni fino  a trovare la casa del proprietario. Ah, non è lui è il figlio, allora una telefonata al figlio uno scambio di indicazioni “No, no, è uno solo e per una notte”. Il cellulare si chiude e ora il responso: “Guardi mio figlio gliela può dare a 60 euro” come un eco emerge la mia risposta “60 euro?! A Volterra ho pagato la metà!” “Questo è il prezzo, questo è un luogo turistico …” sono sicuro che lo sia, ma temo che vi sia anche dell’altro …  e mi congedo.

 

Ormai sono in piazza. Il centro vitale è nel bar di fronte e da qui vedo uscire Antonio, lo saprò dopo il suo nome, era lui che nel cascinale poco più in basso mi aveva dato le ultime informazioni per la salita a Montecatini. Con la simpatia che si crea quando la fatica smorza i confini, si parla, gli racconto, mi racconta. La strada scoscesa di ghiaioni l’ha fatta lui con la ruspa, così come la strada che avevo trovato inaspettatamente prima. E’  un suo orgoglio. “Questa è la strada che faccio con la mia Vesta per venire su in paese”. È una Vespa addestrata, con ogni accorgimento, a passare  tra sassi e cespugli, ubbidisce ad suo padrone, più mansueta del suo cavallo, più grintosa del suo cagnone.

 

Tra le parole ci beviamo un aperitivo. “Per pranzo puoi andare al ristorante di fronte. Non preoccuparti conosco io la padrona”. E’ lo stesso dove avevamo fatto sosta quattro anni fa’, ma con Antonio è una nuova scoperta. “Questo è un mio amico, mi raccomando. Così presentato, il figlio della proprietaria mi fa accomodare. La veranda della sala da pranzo sembra invadere la piazza se non fosse per quella vetrata che la chiude. Un pranzetto ci voleva.  A tavola le  cose vanno bene … ma rimane in sospeso il problema “notte”.

 

Purtroppo è domenica ed è pure tardi. Quei contatti con il sindaco e la sua segretaria non mi possono essere di aiuto. Non mi resta che proseguire per vedere cosa succederà. Più avanti so che c’è un agriturismo, ma purtroppo so già anche i suoi costi. E allora proseguiamo per arrivare … da qualche parte, forse al misterioso Miemo, sperduto in una valle boscosa.

 

Una ragazza si toglie gli auricolari per rispondere alla mia domanda. “Dove si va per Miemo?” Me lo spiega, ma poi si rassegna a dirmi di venire dietro a lei, va proprio in quella direzione a fare una passeggiata. Dopo qualche tornante e qualche scorciatoia si arriva ad uno slargo. Da un lato c’è un’antica struttura mineraria, sulla destra un bell’angolo per picnic. Sembra che non vi sia nessuno anche se su ogni panca e tavolo vi sono borse ormai vuote di vettovaglie. I loro proprietari sono nascosti dall’ombra di una panca sulle pendici a sinistra, tutti stretti ad un tavolone con le immancabili carte che sanno trasformare arroganza, superbia e superiorità nel secco schioccare di una carta sul tavolo. Dietro ad un sorriso vi è il segno del compiacimento “Ecco la carta che serviva!”.

Quasi quasi sarei tentato a fermarmi qui per la notte. Un bel prato pianeggiate da un lato invoglia proprio a montare la tendina. Consulto la mappa che ormai si è stufata di essere aperta e chiusa. Come a Poggibonsi, l’esigenza di arrivare a Pomaia per il martedì di prima mattina insieme al timore di pernottare in un luogo così raccolto con la mia piccola tenda mi suggeriscono di proseguire.

La ragazza che mi è stata di guida aveva preso uno sterrato sulla sinistra. Scorgo però, sulla destra, un viottolo che risente della fatica fatta negli anni i passati. E’ ormai dismesso, qualche tratto di staccionata è divelto eppure invoglia  a essere ripercorso. Nell’intrufolarsi il suo tracciato  si fa più definito. Ad una svolta la vegetazione, alimentata dalla maggior umidità di un avvallo, lo nasconde. Fermarsi è necessario, non per la vegetazione, ma per la bellezza improvvisa di uno sperone di roccia sulla sinistra. Sono luoghi che voglio fermare il tempo e lo spazio con la loro immobilità.  Non posso che fermarmi anch’io.

 

Oltre quella fitta vegetazione la traccia del sentiero riprendere più netta e, seguendola, conduce ad un spazio di sosta pianeggiante e pulito.  Ormai sono proiettato verso Miemo. La ragazza mi aveva indicato di procedere verso i mulini a vento, ne avrei dovuti passare sei prima di arrivare alla svolta per Miemo. Per  lei ovviamente doveva essere la passeggiata del suo tempo libero. E così via via dal brontolio dell’uno  a quello dell’altro arrivo all’ultimo.

 

 

Non riesco però a trovare la svolta a sinistra che mi avrebbe dovuto far scendere a Miemo. Proseguo, ritorno, con tenacia proseguo. Trovo due giovani con i loro motorini, che tra il fumo dei loro spinelli svagati e timorosi,  sanno formulare qualche informazione generica e poco attendibile. Proseguo. E’ il primo pomeriggio e quindi ho ancora il tempo per tornare sui miei passi e dormire a 60 euro in paese!

Trovo finalmente la riscritta ‘Miemo’. È attaccata ad un cannellone chiuso da un lucchetto. Sotto al nome si legge ancora: ‘riserva di ripopolamento faunistico’. Sulla sinistra, lungo la rete, si intravede un viottolo. Poi saprò che è la vecchia strada che scende a Miemo e che  il Comune non ha più ripulito.

 

Ad uno sguardo più attento vedo che c’è un passaggio per proseguire lungo la strada interrotta. Vi passo. E’ la stessa carreggiabile da cui ero arrivato. Lungo il percorso si incontrano aree di disboscamento, cataste ben assestate di legna tagliata, ma ovunque boschi fitti o macchie  di alberi che riescono a radicarsi in pendii rocciosi. Si sale, sulla carta è segnato che c’è un monte da aggirare e si aggira, pian piano compare la stratta vallata che contiene il gioiellino di Miemo. In alcuni punti si ha una visuale superba in un paesaggio fatto di tonalità verdi e azzurre che amalgamano terra e cielo.

 

Il cancello, che poco prima avevo facilmente aggirato e superato, si ripresenta ora che sono nei pressi del borgo di Miemo. Non ci faccio neanche caso tanta è l’attenzione che volgo ad una fontana. Dalla bocca del cinghiale scorga acqua, acqua, acqua. Quante bottiglie riempite tra una sorsata e l’altra. Il paradosso: Miemo è lì e non riesco a raggiungerlo. Il cancello  non permette di uscire, pensavo che … e invece tanto di lucchetto blocca il catenaccio. Passa un’auto, faccio un cenno. Non si ferma. Ho l’impressione di essere condannato, come un animale della riserva, a restarvi chiuso dentro. Tornare indietro è ora inimmaginabile. Il borgo è lontano per sentire le lamentele del prigioniero.

 

Con gli occhi ‘accecati’ dal desiderio di libertà scavalco con agilità (era più facile del previsto …) l’ostacolo. Mi trovo sulla strada sterrata che conduce rapidamente al borgo. Poco avanti vedo un taglio basso nella rete. Ah! Quante soluzioni per superare l’ostacolo, dall’alto e dal basso!

Ormai è fatta e in poco giungo al borgo di Miemo. La giornata è conclusa, basterebbe trovare qualcosa da mangiare e un angolo dove dormire.  Sulla corte sterrata di Miemo si affacciamo pochi edifici, alcuni mantengono le austere sembianze di una storia passata, il Castello, la Chiesa, un altro edificio. Altri ricordano la vita contadina con edifici lunghi e bassi.

Sulla panchina di questo ampio cortile due donne parlano. La mia presenza devia i loro discorsi. “Ma come è arrivato fin qui?” dopo qualche ramanzina, sotto occhi sorridenti,  circa il mio percorso nella riserva, l’atmosfera si fa più cordiale e pacata. Si accenna alla bellezza del luogo in questa stagione, si accenna alle difficoltà che si presentano quando l’autunno e l’inverno portano pioggia e neve. Racconto del mio itinerario,  della mia meta proprio al di là di quelle montane, Pomaia. Insomma tanto basta che la signora più anziana si faccia tramite per il mio pernottamento.

Entra in un locale adiacente e sento il suono delle sue delicate e rispettose parole, esce e mi rassicura. “Sì,  puoi fermarti qui e mettere la tenda vicino a quel casale più in basso”. Ringrazio e scendo per quel breve tratto. Lascio il borgo senza averne gustato la magia che da tanto tempo riservava nei miei progetti: l’unico passaggio possibile per evitare la strada trafficata per raggiungere Riparbella.

 

Dietro al cascinale è stata di recente tagliata l’erba. Ne raccolgo un po’ di manciate per rendere più morbido il mio ‘tappetino’. Monto la tendina, mi fermo a parlare con la coppia che vive nel casolare, da poco sopraggiunta con l’auto. Anche loro vivono soli in questo angolo della Toscana tra i silenzi e i timori di una natura e di una umanità fatta di poche parole.

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