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Immaginazione, a margine dell’incontro di venerdì 15 marzo ’13 “I Venerdì di Bibbiena”

L’organizzazione non lasciava dubbi: senz’altro c’erano le mani di Rossana e Silvia! Nello Studio artistico di Silvia, l’ExpArt di Bibbiena tutto era già pronto alle 21 in punto. Rossana sedeva mimetizzata tra il pubblico pronta a … non intervenire!

E’ stato Luca, l’Assessore alla Cultura del Comune di Bibbiena, a prendere la parola per dirci in quale palcoscenico fossimo entrati, attori e pubblico insieme,  e che cosa si sarebbe rappresentato.

Da quel venerdì, di mese in mese, fino a giugno, sarebbe risuonata una sola voce, una sola esigenza: “Vivere meglio”.

Quanto a me spettava la responsabilità di ‘aprire’ il sipario di questi incontri. Si può dire che non è mancato il disagio. Uno era il mio, che ha visto un treno bloccarsi per un danno all’impianto elettrico con la conseguente ‘mobilitazione’ di più amici, Luca e Graziella, che con una staffetta d’auto (in assenza di autovelox…) mi hanno permesso di raggiungere lo Studio. Solo un briciolo di minuti d’anticipo la sala già ricca di volti con cui condividere una domanda: “come si può immaginare? Come si può “apprendere” ad immaginare?

Non c’è voluto molto per muovere i passi su un terreno ora più sicuro ora più accidentato. C’è da dire che lo spazio ad un confronto di idee su questo tema è arrivato alla fine dell’incontro, anche se nelle mie intenzioni era di proporlo prima, ma il ritardo mi ha immerso subito “nella situazione”.

I temi sono “immaginabili” anche se non sempre chiari alla nostra coscienza. Un po’ per ‘abitudine’ è stato delineato, forse anche troppo!, il “dovere” etico a discernere  il messaggio recondito nelle nostre immagini-immaginazioni.  Certo che se mi avesse sentito un monaco zen sarei stato subito messo a tacere dalla sua sonora risata. Riproponevo il dualismo!!! Eppure non farlo voleva dire tradire altri orientamenti.

Tra le mani mi friggeva un passo della tradizione Theravada che parlava proprio della falsa e retta immaginazione! Allora come fare a non trasformarlo in una abile zattera per navigare nel mare della paura? Sì, è proprio quello il mare da attraversare per giungere ad una immaginazione “abile”.

Se non superiamo quel mostro, che ben raffigurano i tangka tibetani, sarà impossibile arrivare all’altra sponda. Laddove è possibile discernere la potenzialità dell’immaginazione che lancia il nostro sguardo, sembra impossibile, al di là del giudizio, oltre le abitudini della mente e del corpo, verso quella realtà tanto cercata e tanto indicata come meta del nostro percorso: vedere le cose così come sono, libere da tutti i fraintendimenti che l’io porta con sé.

L’io, che ci ha aiutati ad emergere dall’infanzia, ora ci sta ostacolando, tant’è che molti aspirano a ritrovare quella condizione impossibile. Ciò che l’adulto trova davanti , o meglio dentro, di sé è il mare dell’ipocrisia, in cui viviamo senza scegliere, lasciati in balia degli eventi. Qualcuno ne emerge, spesso animato dall’orgoglio o dalla rabbia, altri soccombono sotto il peso dell’apatia, della noia e della rassegnazione con le sue conseguenze.

In questo vasto repertorio delle nostre reattività, di volontà forti, incerte o deboli non riusciamo a superare il fiume impetuoso del tempo con le sue turbolenze e vi restiamo intrappolati dalle nostre sconfitte e dalle nostre vittorie.

Riuscire ad ampliare il nostro orizzonte, guardare oltre le spume delle onde. Immaginazione, fiducia, sforzo insieme all’esigenza vitale di conoscere e discernere la realtà, ci sospingono oltre i nostri schemi mentali. La capacità di accogliere nel o con il nostro sguardo tutto. Non solo gli eventi dolorosi dell’esistenza, che certamente fanno piangere, ma anche le venature luminose e vitali che li attraversano, che altrettanto indubbiamente fanno sorridere.

E allora tra queste due che ne emerge? Emerge quella virtù centrale nel Buddhismo la cui traduzione è un tradimento ne smarrisce il significato: Upekka, l’equanimità. Sembra amica dell’indifferenza, ma così non è, perchè   guarda e riconosce, attraverso le spume delle onde mosse dal vento, ciò che  è, ciò che realmente è. Acqua, acqua, niente altro che acqua.

Questa virtù ci insegna a piangere e a sorridere insieme, a rattristarci e a gioire insieme. La bellezza dell’equanimità è la risposta buddhista al senso dell’esistenza. E’ un altro modo di esprimere una “felicità” diversa che non si orienta di là, verso un egoismo che vuole e rifiuta, ma di qua dove la coscienza si accorge, osservando le palme delle proprie mani, di scorgervi, posato su di esse, il mondo intero. Con ancor più stupore accorgersi che anche quelle  mani non sono diverse da ciò che contengono. Un altro colore pervade le cose così come sono, è quello della comprensione e della consapevolezza che accoglie e trascende il dualismo in una esperienza reale, concreta, che sa scorgere nell’attimo il passato e il futuro. Una terrazza meravigliosa, affacciandoci scorgiamo quell’oceano sconfinato, quieto e trasparente della benevolenza e della compassione o più semplicemente, quella dell’amore.

Sono andato fuori strada, non in ciò che ho scritto, ma in ciò che sono riuscito ad esprimere in  quella serata a Bibbiena. Senz’altro qualcosa è stata solo sfiorata ma in tutte comunque si è gettato il seme della riflessione, perché immaginare è anche conoscere.

Ho occupato così gran parte della serata … ehm … a proposito di ego. Comunque rimane ancora un po’ di disponibilità … di pazienza e riusciamo a trasformare tutto questo in una molteplicità di questione che avrebbero avuto bisogno di una più ampia riflessione. Mi scuso di questa

L’organizzazione non lasciava dubbi: senz’altro c’erano le mani di Rossana e Silvia! Nello Studio artistico di Silvia, l’ExpArt di Bibbiena tutto era già pronto alle 21 in punto. Rossana sedeva mimetizzata tra il pubblico pronta a … non intervenire!

E’ stato Luca, l’Assessore alla Cultura del Comune di Bibbiena, a prendere la parola per dirci in quale palcoscenico fossimo entrati, attori e pubblico insieme,  e che cosa si sarebbe rappresentato.

Da quel venerdì, di mese in mese, fino a giugno, sarebbe risuonata una sola voce, una sola esigenza: “Vivere meglio”.

Quanto a me spettava la responsabilità di ‘aprire’ il sipario di questi incontri. Si può dire che non è mancato il disagio. Uno era il mio, che ha visto un treno bloccarsi per un danno all’impianto elettrico con la conseguente ‘mobilitazione’ di più amici, Luca e Graziella, che con una staffetta d’auto (in assenza di autovelox…) mi hanno permesso di raggiungere lo Studio. Solo un briciolo di minuti d’anticipo la sala già ricca di volti con cui condividere una domanda: “come si può immaginare? Come si può “apprendere” ad immaginare?

Non c’è voluto molto per muovere i passi su un terreno ora più sicuro ora più accidentato. C’è da dire che lo spazio ad un confronto di idee su questo tema è arrivato alla fine dell’incontro, anche se nelle mie intenzioni era di proporlo prima, ma il ritardo mi ha immerso subito “nella situazione”.

I temi sono “immaginabili” anche se non sempre chiari alla nostra coscienza. Un po’ per ‘abitudine’ è stato delineato, forse anche troppo!, il “dovere” etico a discernere  il messaggio recondito nelle nostre immagini-immaginazioni.  Certo che se mi avesse sentito un monaco zen sarei stato subito messo a tacere dalla sua sonora risata. Riproponevo il dualismo!!! Eppure non farlo voleva dire tradire altri orientamenti.

Tra le mani mi friggeva un passo della tradizione Theravada che parlava proprio della falsa e retta immaginazione! Allora come fare a non trasformarlo in una abile zattera per navigare nel mare della paura? Sì, è proprio quello il mare da attraversare per giungere ad una immaginazione “abile”.

Se non superiamo quel mostro, che ben raffigurano i tangka tibetani, sarà impossibile arrivare all’altra sponda. Laddove è possibile discernere la potenzialità dell’immaginazione che lancia il nostro sguardo, sembra impossibile, al di là del giudizio, oltre le abitudini della mente e del corpo, verso quella realtà tanto cercata e tanto indicata come meta del nostro percorso: vedere le cose così come sono, libere da tutti i fraintendimenti che l’io porta con sé.

L’io, che ci ha aiutati ad emergere dall’infanzia, ora ci sta ostacolando, tant’è che molti aspirano a ritrovare quella condizione impossibile. Ciò che l’adulto trova davanti , o meglio dentro, di sé è il mare dell’ipocrisia, in cui viviamo senza scegliere, lasciati in balia degli eventi. Qualcuno ne emerge, spesso animato dall’orgoglio o dalla rabbia, altri soccombono sotto il peso dell’apatia, della noia e della rassegnazione con le sue conseguenze.

In questo vasto repertorio delle nostre reattività, di volontà forti, incerte o deboli non riusciamo a superare il fiume impetuoso del tempo con le sue turbolenze e vi restiamo intrappolati dalle nostre sconfitte e dalle nostre vittorie.

Riuscire ad ampliare il nostro orizzonte, guardare oltre le spume delle onde. Immaginazione, fiducia, sforzo insieme all’esigenza vitale di conoscere e discernere la realtà, ci sospingono oltre i nostri schemi mentali. La capacità di accogliere nel o con il nostro sguardo tutto. Non solo gli eventi dolorosi dell’esistenza, che certamente fanno piangere, ma anche le venature luminose e vitali che li attraversano, che altrettanto indubbiamente fanno sorridere.

E allora tra queste due che ne emerge? Emerge quella virtù centrale nel Buddhismo la cui traduzione è un tradimento ne smarrisce il significato: Upekka, l’equanimità. Sembra amica dell’indifferenza, ma così non è, perchè   guarda e riconosce, attraverso le spume delle onde mosse dal vento, ciò che  è, ciò che realmente è. Acqua, acqua, niente altro che acqua.

Questa virtù ci insegna a piangere e a sorridere insieme, a rattristarci e a gioire insieme. La bellezza dell’equanimità è la risposta buddhista al senso dell’esistenza. E’ un altro modo di esprimere una “felicità” diversa che non si orienta di là, verso un egoismo che vuole e rifiuta, ma di qua dove la coscienza si accorge, osservando le palme delle proprie mani, di scorgervi, posato su di esse, il mondo intero. Con ancor più stupore accorgersi che anche quelle  mani non sono diverse da ciò che contengono. Un altro colore pervade le cose così come sono, è quello della comprensione e della consapevolezza che accoglie e trascende il dualismo in una esperienza reale, concreta, che sa scorgere nell’attimo il passato e il futuro. Una terrazza meravigliosa, affacciandoci scorgiamo quell’oceano sconfinato, quieto e trasparente della benevolenza e della compassione o più semplicemente, quella dell’amore.

Sono andato fuori strada, non in ciò che ho scritto, ma in ciò che sono riuscito ad esprimere in  quella serata a Bibbiena. Senz’altro qualcosa è stata solo sfiorata ma in tutte comunque si è gettato il seme della riflessione, perché immaginare è anche conoscere.

Ho occupato così gran parte della serata … ehm … a proposito di ego. Comunque rimane ancora un po’ di disponibilità … di pazienza e riusciamo a trasformare tutto questo in una molteplicità di questioni che avrebbero avuto bisogno di una più ampia riflessione. Mi scuso di questa mancanza.

Abbiamo letto anche qualche passo, ma ci conducevano lungo la strada di un pensiero razionale dal tono accademico, più che verso quella dell’immaginazione.

Abbiamo finito con la lettura di una poesia di un monaco zen giapponese:

Per la liberazione degli esseri,

In fin dei conti non resta niente da dire.

Nessuna parola, nessuna forma.

Non c’è che l’abbandono di tutte le cose

Che riempie cielo e terra

  

 Vivere meglio – un presente fatto di scelte”

 Dobbiamo vivere come prigionieri le sfide della vita quotidiana? O possiamo invece trovare risorse interiori che ci aiutino a reagire più positivamente alla crisi culturale e spirituale della società contemporanea?  In una serie di incontri informali e dialogici, esploreremo questa problematica da una varietà di prospettive— filosofiche, scientifiche, religiose, umanistiche—alla ricerca di vie per arricchire e articolare meglio la nostra esperienza della realtà che ci circonda.

Comune di Bibbiena 

Ciclo di incontri su 

Vivere meglio” – un presente fatto di scelte

-     i Venerdì di Bibbiena -

si svolgeranno presso il laboratorio artistico ExpArt – Via Borghi, 80 – Cetro storico di Bibbiena

ore 21.00

E’ un progetto che si articola quattro incontri mensili ui temi di  etica, poesia, politica, storia

 

“ I Venerdì di Bibbiena”

Venerdì, 15 marzo 2013

Vivere l’ etica

Immaginazione, paura, realtà

L’esperienza buddhista

Conduce Rodolfo Savini

 

L’immaginazione può svilupparsi attraverso le fantasie, i sogni, lo stupore, la creatività, una realtà da plasmare, ma perché non potrebbe altrettanto bene svilupparsi lungo la strada del disagio e del timore, della noia, della distruttività, di una realtà inquinata e da inquinare. In tutto questo si diffondono le vibrazioni dei nostri stati d’animo, delle sensazioni, dell’emotività e del sentimento. E  se vedessimo tutto questo dal punto di vista della natura, della realtà concreta e tangibile? E’ lì inerte ad attendere il nostro agire saggio o perverso che sia? No, non mi sembra, la realtà è come siamo noi, un continuo fermento che leggiamo nel fascino del paesaggio primaverile ma non di meno nella cecità di un maremoto. Da queste considerazioni, vissute nell’intimo, zampilla più chiara l’esigenza di imparare a ‘guardare’ a porre la domanda ‘giusta’ prima di tutto a noi stessi e al senso del nostro ’essere ‘qui’.

 

 

 

 

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