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Sogni del fiume, la fiaba e l’immaginazione

Il 15 marzo il Comune di Bibbiena (Ar) dà avvio ad un ciclo di incontri su Vivere meglio, un presente fatto di scelte. Il primo verterà su Immaginazione, paura, creatività e sarà coordinato da Rodolfo. Abbiamo pensato di riportare dei passi che sappiano far luce su questo argomento. Di seguito c’è parte della prefazione di Chandra ad un suo libro di Fiabe, Sogni del fiume. Cogliamo l’occasione per ringraziarla della sua disponibilità.

Venerdì 15 marzo ’13 – ore 21.00 presso lo Studio artistico ExpArt, via Borghi,80 a Bibbiena – nei pressi della sede del Comune

 

 

Da bambina, erano proprio questi miracoli del noto che mi rapivano nelle fiabe e ne avrei voluti

molti di più, avrei voluto che Cenerentola parlasse con la cenere e la cenere le rispondesse,

che il lupo sulla soglia di casa della nonna si intrattenesse un po’ con un grillo, che Pollicino

parlasse con gli uccelli della foresta, che il gioco tra sfondo e figure si facesse più ampio e vario,

in modo da non lasciar fuori scena nessuno, in modo da non trattare nessun attimo come un

attimo qualunque. Perché il bello delle fiabe è che l’attimo magico è un attimo fino a un

momento prima assolutamente ordinario e il protagonista una qualunque comparsa, finché…

CosÌ, come accade spesso che chi scrive scriva quello che vorrebbe leggere, nelle mie fiabe

sono le creature minuscole a parlare, a rivendicare una storia, a essere scelte da un destino.

Da piccola, facevo un gioco: vedere quante più cose insignificanti ci fossero in una stanza o in una

via o sul tram, proprio le più non viste, le più niente di speciale e accoglierle tutte nello sguar-

do e sorridergli con complicità. E credevo davvero che loro se ne accorgessero e ne esultasse-

ro, tutti: paralumi di plastica, stracci per Ia povere, foglie di cicoria in una crepa dell’asfalto,

una forchetta, un pezzettino di giornale, una macchia di ruggine su un lampione di periferia.

E tutti questi non-invitati li ho invitati nelle mie fiabe e li ho lasciati parlare.

E soprattutto ho cercato di dare una storia a chi di solito storia non ha. Una volta, ho scritto una

poesia che diceva:

 

non mi accorgevo

mentre mi parlavano

di grandi imprese della vita

che se ne stava andando la mia

quasi vergognosa intimidita

di essersi creduta in confidenza

con me seduta

come amica.

 

Ecco, mi succede spesso di ascoltare racconti di viaggi, di lavori, di amori, di ribellioni, e di sentirmi

piccolissima, di sentire di aver vissuto sempre momento per momento e così di non

aver mai incontrato niente di davvero straordinario, tranne uno sguardo che accolga tutto, ma

proprio proprio tutto.

Così, può darsi che in una città tutta disumanamente umana, un usignolo trovi posto per la

sua malinconia e che incontri l’amore. O che una rosa diventata atea divinamente risorga. O

che qualcuno scopra che il silenzio non è che f insieme di tutti i rumori, il loro sfondo e che

non ha opposti. Capita che una pattumiera sappia insegnare a entrare in confidenza con la

morte e che i suoi discepoli siano nòccioli di frutta, cartacce, fili, lische di pesce. E succede

che un uccello impari che si è a casa solo quando si accettano le cose così come sono e non

quando le si sogna diverse. Che una musica scenda sulla terra per un bambino troppo strano

e per esseri che non conoscono più l’inutilità della gioia. E un cavallo alato impari l’amore

perdendo le strategie di fuga e accettando la morte. La sofferenza e la solitudine di un bambino

d’oro vengano ascoltate solo da un uomo nero che odia tutto quello che è candido. E che

una bambina impari a pensare accettando di essere separata per sempre dal suo merlo,

sepolto sotto la neve.

Credo che siano tante fiabe di educazione sentimentale, immerse nel fiume delle cose che continua

incessante,  ma non incurante, a scorrere.

Credo che siano fiabe che hanno ancora voglia di pronunciare parole vecchissime come solitudine,

dolore, gioia, amore, morte, e anche albero, muro, pattumiera, tram.

Ma di una sola cosa sono sicura, sono fiabe che vogliono dire una cosa sola: c’è posto per chiunque

sulla terra, e anche sotto il mare e anche in cielo e anche sottoterra. Nessuno, nessunisssimo

escluso. E ognuno è assolutamente speciale, ognuno è unico, se non altro per se stesso. E ogni

attimo, ma proprio ogni attimo, si può scoprire di essere vivi (o morti) e assaporare.

 

da: Chandra Livia Candiani Sogni del fiume, ediz. Vivarium (MI), 2002 – pp. 12-14

 

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