Qi Gong, grazie Ivano!
Qi Gong a La Pagoda
E’ passata una settimana prima di rimettere mano all’esperienza del Qi Gong con Ivano, Presidente del Centro Ming Dao di Rimini. Nessuna avventura è tale se non ci si tuffa dentro e nell’uscirne non rimanga ancora sulla pelle quell’odore di salsedine. Ebbene ora posso dire che è stata assimilata. Una parola che risuona ancora nella mente è la necessità del “radicamento”. Mi sono accorto dell’importanza che ha il gesto del Buddha quando, tentato da Mara, chiama a testimone la terra, infatti Ivano ci ha condotti e ricondotti a questo “contatto” che ancor più, come radici di quercia, si immerge nella profondità della terra.
Con le torsioni abbiamo acceso l’attenzione alla vita, effettivamente è stata l’esperienza di un incontro tra ciò che è basso e ciò che è alto. Tra ciò che dall’alto scende e dal basso sale. La vita, nella forma del corpo, è un passaggio, un varco tra un vortice e l’altro, tra quello che sa di terra e quello che sa di cielo.
Ogni esercizio è racchiuso in un momento che solo con un lieve sorriso si riesce a definire. Esprime con semplicità un incontro, l’aprirsi alla brezza vitale che, vibrando, attraversa il corpo. Si comincia da subito ad intravedere il sentiero che Ivano ci guida a percorrere. Da un lato una vegetazione ricca di colori che comunica gioia, dall’altro il profumo di fiori che avvolge di meraviglia. Entrambe sempre più, da esercizio in esercizio, si disciolgono in un inaspettato senso di gratitudine. Si è proprio qui dove tutto questo accade.
Ivano ci ha insegnato molteplici modi con cui le mani e le dita si possono sciogliere dalle loro rigidità e diventare un dialogo in codice con lo spazio. Una miriade di antenne che si aprono, di esercizio in esercizio, da un intreccio ad un altro, per collegare il tuo sangue-cuore-respiro con il grande respiro della vita. Un susseguirsi di mudra, un parlare con le dita di grandi virtù.
I movimenti del Daoyin che abbiamo praticato ridanno una sintonia al corpo. Bisogna avere Ivano “tra le mani” per tuffarsi, come si diceva , nell’onda lunga del Daoyin. Ogni movimento, partendo sempre dal “radicamento” nella terra, alimenta, ora in un senso ora nell’altro, il fluire dell’energia vitale come una marea senza confine che va e viene nulla trascurando.
I 18 movimenti sono un gioco con la natura come indicano i loro stessi nomi : ondulare come un arcobaleno, separare le nuvole, remare al centro del lago, sostenere una palla, contemplare la luna, agitare le onde, la colomba che apre le ali, l’anatra selvaggia che vola, girare come una ruota panoramica, battere e far rimbalzare la palla, sono solo alcuni paesaggi che il nostro corpo-mente attraversa con questi movimenti. I nomi stessi rendono gioioso l’eseguirli.
Ho lasciato per ultimo l’esercizio che più mi ha affascinato per l’intensità che vi ho sperimentato. Coltivare i tre fuochi. Sempre radicati a terra si sperimenta la dignità della nostra particolare forma di essere vivente. E’ un delicato, irrefrenabile impulso vitale a rendere omaggio e ad entrare in sintonia con il calore vibrante dell’addome, con quello del cuore, con quello celato nel capo e, con un ultimo gesto, con quell’oltre al di là del corpo. Non si rimane lassù ma nuovamente si plana dal cielo alla terra per restare laddove si è preso avvio, al centro del plesso solare, la grande fucina della nostra esistenza.
Un fine sessione tra l’affettuoso e l’autopunitivo, tra massaggi e schiaffeggi (… passatemi la definizione!) dal corpo si cacciano quelle tensioni che pigramente continuavano a soggiornarvi e di cui i movimenti avevano già leso le radici. Chissà se il mondo intorno a noi è sempre lo stesso?
Penso proprio di no, almeno a giudicare dai piatti colorati e profumati che giungevano sul magico tappeto che ci conteneva. Niente altro che gioia e meraviglia e tanta gratitudine a Luisa e a Melita.
Mino ci sei mancato! Ma sappiamo che questi gusti ti sono familiari.