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Riflessioni su: L’esperienza dei condizionamenti Rodolfo 15 gennaio ’14

L’esperienza dei condizionamenti  -  Note a margine

 La mente oscilla tra contenuti diversi, siano essi razionali che emotivi, emergenti dal corpo o insinuati nei pensieri, suscitati dalle relazioni o frutto di fantasie e così via nel fantasmagorico intreccio della vita. La pratica meditativa viene alla luce allorché ci accorgiamo (potrebbe anche non accadere e non essere affatto così – la nostra indagine è lo strumento), che questo pendolo della mente ci dà qualcosa ma ce ne toglie assai di più. Ci dà la sensazione di una vita intensa e ricca di vitalità, quando siamo portati in alto dal piacere, ma confina troppo da presso con il disagio e l’insoddisfazione pervasa dal fallimento e dal dolore. La felicità può divenire ansia di avere ancora di più, ansia di perdere quella che abbiamo, diviene aggressività o invidia, diviene possessività e gelosia, avversione o rabbia, malevolenza. Queste attività mentali si reggono sulla punta di uno spillo perché per un nonnulla posso cadere nell’opposto, nella malinconia, nella tristezza, nella demotivazione, come ci si può trovare a navigare alla cieca nelle nebbie dell’incertezza, del non-senso, del dubbio.

Tra questi stati d’animo non vi è continuità. L’attività mentale dispersiva non fluisce da uno stato d’animo all’altro lungo un percorso ritmato. E’ spigolosa e salta da qua a là condizionata dall’insorgere improvviso di  stimoli e informazioni contraddittorie.  Basta un attimo per trovarsi innalzati o sprofondati nel polo opposto. Questo è il nostro quotidiano. Tra questo salto o questo scivolamento vi è un istante, quell’attimo di cui si è detto. E’ lo stesso attimo che intercorre tra un inspiro ed un espiro e viceversa. Ecco il punto di svolta. Nel respiro è facile riconoscerlo anche se usualmente non gli diamo la  rilevanza che merita. Questa sospensione e questa ritenzione sperimentata nel respiro sono lo spazio che permette non il capovolgimento nel suo fluire ma un attimo di spaziosità e di apertura. Nell’attività mentale questo attimo apparentemente scompare in quel saltellare continuo della mente. Solo in certi momenti diviene evidente, allorché lo stupore o la meraviglia ne sospendono per un attimo il rincorrersi abituale.

L’esperienza del condizionamento offre proprio in questo “attimo” la possibilità alla nostra attenzione, alla nostra presenza mentale, di immergersi per cogliere un modo diverso  di vedere e di valutare. Quel groviglio di pensieri e sensazioni ha creato una rete assai fitta di intrecci e di nodi difficili da sciogliere. Eppure lo yoga e il buddhismo, discipline di cui ora si tratta, forniscono una via di uscita. Si tratta di riuscire, con la pazienza e la continuità della pratica meditativa, a cogliere la qualità di questi stati d’animo. Pur diversi che siano sono pur sempre un mescolamento di attaccamento e di avversione, di disappunto, di disagio e di sofferenza, di incertezze. Nello yoga queste diverse energie vengono ricondotte alla multiforme interazione di tre elementi. Il rajas, che rappresenta l’elemento vitalizzante, da un superficiale entusiasmo all’attaccamento-avversione, sino alla rabbia; il tamas che rappresenta la tristezza, la malinconia, la demotivazione, l’inerzia. Il primo di colore rosso il secondo di colore nero. Senza usare questi termini il buddhismo procede lungo la medesima esperienze di discernimento.

Trovare lo spazio tra pensiero e pensiero, percepirne e riconoscerne il groviglio di cui è espressione, ricondurre il tutto a questi elementi costitutivi del divenire è il senso insito nella pratica meditativa. Siamo, è chiaro, nella dimensione del samsara, del perenne ciclo del divenire in cui tutto si ripete cambiando il nome agli addendi, nella dimensione di maya, dell’illusione.

Questa capacità di discernimento costituisce un terzo fattore. Nello yoga prende il nome di sattva è il potere di far luce, la chiarezza, di colore bianco, nel buddhismo è la vipassana, il vedere discriminativo, l’indagine meditativa. In entrambe le tradizioni è il vedere chiaramente ciò che accade, ciò che è.

Al progressivo sviluppo di questo fattore, del sattva, il caotico intreccio di rajas e tamas di tende a dipanarsi. Questi tre fattori sono chiamati appunto guna, fili; sono i fili che intessono il regno dell’illusione, del perenne e cieco divenire.

L’emerge di questa facoltà luminosa ha in sé la potenzialità di smussare le impennate della mente, il suo caotico rimbalzare tra stati d’animo differenti ed opposti, tant’è che pian piano la stessa attività mentale, una volta riconosciuta nei suoi fattori, si placa sempre più identificandosi con l’onda lunga della vita, con l’onda lunga del respiro, con l’onda lunga del pulsare di un cuore accogliente. Gli aspri squilibri netti delle attività mentali potranno sempre aver luogo, ma mentre “normalmente” c’è solo la loro irruenza ora invece, in virtù del raccoglimento e della investigazione meditativa (che cosa c’è in questo nodo?) si può cominciare a discernere la loro natura, il nodo karmico, prodotto dal coacervo delle nostre azioni passate.

Il senso della nostra esistenza può risiedere nel dimorare nel ritmo della vita ma soprattutto di viverlo non in conflitto o in opposizione alla quotidianità disordinata, ma come l’opportunità di arricchire quest’ultima di una qualità che le manca, la qualità dell’accoglienza, del sostegno, della comprensione insieme alla capacità di saper agire senza attaccamenti lungo l’onda del cambiamento.

A cura del medesimo

Incontro con Rodolfo Savini

L’esperienza dei condizionamenti – per una vita vissuta in prima persona

MISERICORDIA di ANGHIARI – Via Matteotti, 129 – Anghiari

 MERCOLEDI’ 15 gennaio 2014   -   Ore 21.00 – 22.00

 

In un precedente incontro mi sono soffermato sul tema “Alle radici dei condizionamenti”. Nell’esposizione dell’argomento ho cercato di scendere pian piano dalla quotidianità alle “radici”. Ci siamo soffermati soprattutto sullo Yoga e abbiamo visto che il “nostro” agire è in realtà frutto di una serie di fattori e condizioni che non lo rendono affatto libero. 

Questa volta il punto di partenza è esattamente l’opposto. Partiremo direttamente dal porre attenzione a queste “radici” e con esse ci confronteremo. E’ per questo motivo che l’incontro ha un carattere più pratico che teorico.

Si individuerà l’aspetto che assumono queste radici in alcune tradizioni orientali e le faremo diventare un oggetto con cui vagliare il nostro quotidiano. Per esempio quando mi annoio, sperimento la noia e il guaio è che la ritengo qualcosa di “mio”. In realtà tutti gli stati d’animo sono di tutti. Quindi, a parte le “soluzioni immediate” come, a proposito della noia aprire il frigo, cercheremo di confrontare questa “mia” noia con la noia, cioè con uno stato d’animo condiviso da ogni essere umano.

Lo scopo è quello di aggirare  la soluzione “superficiale” e abituale pervasa da una reattività e di fare l’esperienza della noia come qualcosa che in questo momento c’è e proprio in questo momento va riconosciuta nella sua natura condizionante.

Riconoscere è conoscere. In questo modo un fattore capace di impossessarsi della nostra attenzione può divenire un fattore di conoscenza. Comprendere il peso che hanno queste emozioni subite ci libera dalla paura o dall’ebbrezza che certi stati d’animo producono in noi. Favorisce l’insorgere di una mente più equilibrata che sappia piangere quando c’è da piangere e sorridere quando c’è da sorridere.

 

Rodolfo Savini ha svolto studi universitari nell’ambito delle discipline orientali laureandosi in Storia religiosa moderna. Ha insegnato  filosofia in scuole superiori, ora si dedica alla pratica dello yoga e della meditazione di consapevolezza  che coltiva soprattutto presso l’Associazione La Pagoda-Onlus di cui è Presidente.

 

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