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Senso e rispetto della vita, Caffè filosofico con Neri Pollastri – bar AlterEgo 17apr16

Il senso della vita è stato il tema trattato al Caffè filosofico al bar AlterEgo di Ponte alla Chiassa (AR)  il 17 aprile ’16 – coordinato dal prof. Neri Pollastri -   https://it-it.facebook.com/neri.pollastri che qui si ringrazia per aver trovato modo di essere presente.

Di seguito vi sono riportati alcuni spunti ascoltati e rielaborati, integrano cioè il detto e il pensato, non costituisco affatto una trascrizione fedele. Se riusciste ad esserci la prossima volta … saprete la “verità“, ehm … la vostra verità!!!!!!!!

Il senso della vita

Il senso della vita non riguarda solo la mia vita, è anche lo spazio che riconosco alle altre relazioni, quelle familiari, quelle amicali, quelle professionali, ecc. Posso comprendere il senso della vita solo inquadrandolo in una prospettiva più ampia dell’io. Qui si pone la domanda.

È una domanda cui ci si arriva dopo aver soddisfatto i propri bisogni primari. Tra questi vi è anche il saperti sostentare e mantenersi, l’autoconservazione. Allorché la vita funziona allora ho lo spazio per pormi la domanda: Che senso ha la vita? Che cosa è?

Il suo senso è la ricerca, la sperimentazione, è riuscire a dare significato smussando il peso delle abitudini.

Il senso della vita è un grande recipiente che contiene diverse prospettive: una dimensione sociale, affettiva, di solidarietà, e chissà quante ancora.

Può volgersi in diverse direzioni. Può fondarsi sul prendere o sul donare. La prima è spesso pervasa da una violenza verso gli uomini, gli animali, la natura. Si uccide senza chiedersi il perché di tale gesto. È, per fare un esempio, una spirale che via via ad ogni svolta si articola e si espande rendendoci sempre più vittime di ciò che si ha. Più hai, più sei schiavo. All’opposto abbiamo l’ideale del pellegrino, che attraverso la sua povertà si accorge della ricchezza della vita.

È indubbio che su tale ricerca pesino i condizionamenti, che, come si diceva, spaziano dalla famiglia al lavoro, dalla domanda del ‘che cosa accadrà’ alla ricerca di una felicità percepita come perenne sviluppo e crescita. Possiamo vedere la nostra vita come una parabola che nega il suo volgere verso la vecchiaia. La vediamo, una volta giunti al suo apice, come qualcosa destinato ad una evoluzione continua verso un meglio sempre più degno di tale nome.

Dobbiamo richiamarci a noi stessi, il senso della vita risiede nella vita, nella mia vita, da cui non posso sottrarmi. La vecchiaia come appagamento è sempre più difficile trovarla e viverla. Le siamo lontani, influenzati dai molteplici ostacoli costituiti dai nostri attaccamenti. Il senso di libertà, che dovrebbe risuonare come un bisogno collettivo, si è dissolto nel desiderio di tante sollecitazioni individuali ed egoistiche.

Spesso parlare del senso della vita ci induce ad anteporre una “S” maiuscola, siamo nell’ambito di risposte religiose e non solo che sfuggono dall’esperienza. In tal modo hanno la propensione a volgersi verso l’intolleranza, verso un fanatismo pronto a sua volta ad assumere, con un piccolo passo, il volto crudo del terrorismo.
A questa visione si contrappone un senso della vita con un “s” minuscola. Ecco allora comparire una molteplicità di bisogni più o meno condivisibili. Il senso della vita diviene una funzione variabile pervasa dalle nostre individuali prospettive esistenziali.
Da un lato la nostra attitudine può condurci a scelte egoistiche, una ingordigia esistenziale, dall’altro può volgersi verso l’attitudine di togliere qualcosa a me per farne dono agli altri. La sete continua che ci conduce al “non ci basta mai” è diversa dal senso del bisogno che può essere appagato e quindi dissolversi.
I vasi comunicanti sono un’immagine efficace per individuare queste due propensioni. Da un lato il vaso è colmo dei nostri egoismi cui non siamo disposti a rinunciare. Dall’altro troviamo i Paesi poveri che via via, anzichè essere alimentati dal vaso comunicante, permango nella loro povertà sempre più inaccettabile. Se in passato si è riusciti a mantenere questo squilibrio, oggi la pressione è tale che sarà sempre più arduo costruire muri capaci di contenere questo riflusso.

Il senso della vita è prossimo alla paura e alla tristezza.
È prossimo alla paura allorché si confronta con la morte e alimenta per reattività la violenza, la prevaricazione i molteplici modi in cui si afferma la propria vita a danno di quella altrui.
È prossimo alla tristezza allorché avverte l’inesorabile scorrere delle cose care sull’onda del ricordo. Un senso di sfiducia o all’opposto di rabbia può scaturire da questa “povertà” che il tempo ha creato nel nostro animo.
Nel padroneggiare il senso della vita, della propria vita, nello sperimentare la difficile convivenza con paure e tristezze, con gioie pervase di egoismi troviamo la fonte primaria della felicità e della pace, la medicina alla nostra irrequietezza senza fondo.

Finché i sensi cercano ansiosi i loro oggetti, fino ad allora vi è ‘mancanza’, vi è l’ansia di un volere insaziabile o la frustrazione di non averlo. Allorché i sensi sono appagati e tranquilli allora la bellezza dell’esistenza vi si rispecchia. Nell’armoniosa coesistenza di queste due propensioni si gioca il senso della nostra vita. Allorché la bellezza del vivere diviene gioia del fare, il gioco è vinto.

Nota: come La Pagoda non abbiamo fatto nulla di particolare, cosa che invece era avvenuta la volta precedente (il 13 marzo ’16). Nel partecipare attivamente a livello individuale abbiamo sperimento, insieme ai presenti, la bellezza di un Sangha, di un Comunità che insieme dialoga verso un comune intendimento, eppure la ricca varietà delle tesi e dell’espressività di ognuno di noi è stata espressione della vitalità di un diverso modo di concepire il comune intendimento.

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