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Il pellegrinaggio – Thomas Merton

THOMAS MERTON
MISTICI E MAESTRI ZEN
GARZANTI 1969(originale New York 1961) pp. 83-100

Concetti: viaggio sacro, ritorno alla sorgente mistica, rinnovamento-purificazione, contemplazione, viaggio esteriore/geografico e viaggio interiore, visita ad un santuario, esilio-solitudine, continuità tra sacro e profano, carattere penitenziale, viandante, esule sacro, crociate, isola perduta, pellegrinaggio forzato per motivi economici e politici, la domanda di senso, gioia, la routine delle abitudini, pellegrinaggio in umiltà – Tre capitoli: Significato; Nella storia; Oggi

Il significato del pellegrinaggio
Il “viaggio sacro” ha origine nelle culture religiose preistoriche e nei miti. L’uomo si considera istintivamente un viandante ed è per lui una seconda natura andare in pellegrinaggio in cerca di un luogo privilegiato e santo, centro e fonte di vita indefettibile. Questa speranza è insita nella sua psicologia e, sia che la si realizzi sia che si limiti a vagheggiarla, il suo cuore aspira a ritornare a una sorgente mistica, a un luogo d’ “origine”, la ”casa” da dove provengono i suoi antenati, la montagna dalla quale gli antichi padri comunicavano direttamente con il cielo, il luogo della creazione del mondo, il paradiso con il sacro albero della vita. Nelle tradizioni di tutte le grandi religioni il pellegrinaggio riporta i fedeli alla fonte e al centro della religione stessa, al luogo della purificazione, del rinnovamento e della salvazione.

L’itinerario mistico o ascesa del monaco verso Dio avviene nella “contemplazione”. Il pellegrinaggio nella sua rappresentazione geografica simboleggia un viaggio interiore. E questa è l’interpretazione dei significati e simboli del pellegrinaggio esterno. Si può avere l’uno senza l’altro; ma è meglio avere entrambi. La storia illustrata la triste fatalità che accompagna il pellegrinaggio esterno non integrato da quello spirituale interno: un vagabondaggio scombinato, senza ragione e senza che si soddisfi la minima esigenza interiore. Un pellegrinaggio simile non reca alcuna benedizione, ma anzi è maledetto dalla alienazione. Storicamente troviamo una progressiva “interiorizzazione” del tema del pellegrinaggio finché nella letteratura monastica la “peregrinatio” è totalmente spirituale ed è anzi sinonimo di stabilità monastica.

Pellegrinaggio: diversi sviluppi storici (riassunto)
La peregrinatio, o il “recarsi in paesi stranieri” (tipica dell’ascetismo irlandese), partiva non per visitare un santuario solitario, ma in cerca di solitudine e di esilio.Il suo pellegrinaggio era un esercizio ascetico di vita errabonda e senza tetto. Egli viaggiava senza una meta prestabilita, rimettendosi alla provvidenza, abbandonandosi al Signore dell’universo.

La peregrinatio celtica (Celti IV-III sec. a.C. Europa nord occidentale) testimonia una profonda integrazione spirituale nella cultura del paese. Il pellegrinaggio esterno e geografico fu, nella maggior parte dei casi, qualcosa di più che l’espressione di ossessioni e instabilità psichiche. Esso era in stretta relazione con una intima esperienza di continuità tra il naturale e il soprannaturale, tra il sacro e il profano, tra questo mondo e quello futuro: continuità sia nel tempo che nello spazio. Per i celti, come per tutti gli uomini arcaici e primitivi, la vera realtà è quella che si manifesta oscuramente e sacramentalmente in simbolo, sacramento e mito. Le più profonde e misteriose potenzialità del mondo fisico e corporeo, potenzialità essenzialmente sacre, richiedono di esplicarsi a un livello spirituale e umano.

Il pellegrinaggio dei monaci irlandesi non era dunque l’ansia di ricerca di un cuore romantico insoddisfatto. Era un tributo profondo ed esistenziale alle realtà percepita nella struttura del mondo, dell’uomo e degli altri esseri: un senso di dialogo ontologico e spirituale tra l’uomo e la creazione nella quale le realtà spirituali e corporee si intrecciano. Tutto quello si risolveva in una potente creatività spirituale che rendeva impossibile per il monaco celtico accettare la sua esistenza come qualcosa di statico e di “determinato”, o la sua vocazione monastica come una esistenza giuridicamente stabilita e sedentaria. La sua vocazione era per il mistero, per la libertà e l’abbandono a Dio, affidandosi all’apparente irrazionalità. Meglio forse dei greci, alcuni monaci celtici raggiunsero la purezza che vede Dio non nelle essenze, ma nel cosmo.

Il testo di Merton prosegue facendo riferimento al pellegrinaggio inglese e irlandese dal sesto al decimo secolo dove esso assunse un carattere penitenziale per delle colpe commesse. Il penitente, avendo su di sè il peso della comunità, viene mandato in esilio, o temporaneo o perpetuo. Il penitente diviene così pellegrino.

Nel nono secolo la meta del pellegrinaggio era Roma. Il pellegrino si riconosce per l’abito di tela di sacco, con i piedi nudi. Era un “viandante” e nell’alto medioevo acquisì le sembianze un penitente “sacro”. Scontava la pena di Caino, maledetto da Dio e “nessuno poteva toccarlo” (Gen 4, 13-15). Era un esule sacro, un vagabondo consacrato ed era dovere accoglierlo, anche se per un tempo limitato. Via via questa figura si inquinò e tra i viandanti pellegrini si cominciarono a trova briganti e ogni genere di criminale. Nell’undicesimo secolo una riforma riconfermò il ruolo sacro di tale figura e a questo periodo risalgono i grandi pellegrinaggi tutt’ora riscoperti Gerusalemme, Roma, Canterbury e, il più noto anche oggi, a Campostela.

L’undicesimo e dodicesimo secolo videro identificare il pellegrinaggio come una ‘crociata’ nella ‘terra promessa’. Tra il 1073 e il 1095 presero avvio le crociate, dapprima vissute come un ‘pellegrinaggio collettivo’ di peccatori di ogni genere in cerca di essere emendati dai loro peccati. Questi ‘pellegrinaggi’ assunsero un aspetto militare e guerriero, tra i ‘penitenti’ cominciò a comparire una consacrazione alla violenza.

In Occidente la Spagna e il Portogallo, tra il quattordicesimo e sedicesimo secolo, coltivarono l’idea di una “Isola perduta” e quest’onda emotiva sospinse molti alla sua ricerca. Cristoforo Colombo, con i suoi studi, si era emancipato da queste visioni mitiche. Insieme a lui e dopo di lui sopraggiunsero i “padri pellegrini” puritani e i veri e propri conquistatori. L’espansione in questi territori assunse l’aspetto di una prova di lealtà ai valori europei e cristiani che giustificava ogni genere di usurpazione, ruberia o tirannia. Solo in pochi casi assunse l’aspetto di un pellegrinaggio verso la “terra promessa”, p.es. con i gesuiti in Paraguay.

Pellegrinaggio oggi
Oggi la storia del pellegrinaggio è giunta al termine di un ciclo e ne inizia un altro. Sulla terra non vi sono più ‘paradisi incontaminati’, quei pochi che ancora esistono sono ridotti a paradisi ‘esistenzialisti’ esterni, a poco più di una periferia, pervasi dalla nostalgia di qualcosa di irrimediabilmente perduto. Prende piede un disgusto per il paradiso, ma non per le crociate! Il nostro pianeta sta per diventare il luogo di un ‘pellegrinaggio forzato’ dettato da squilibri politici ed economici, animati assai di frequente da un pellegrinaggio verso un “terra promessa” che di questa ha perso gran parte della sua consistenza.
Il pellegrinaggio deve continuare perchè fa parte integrante della struttura e del programma dell’uomo. Il problema è che abbia un ‘senso ‘: deve rappresentare una completa integrazione della vita esteriore e interiore dell’uomo, del suo rapporto con se stesso e con i suoi simili. Dio ci ha dato la terra affinchè noi vi si trovi significato, ordine, verità e salvezza. Il mondo non è solo una valle di lacrime. Vi è gioia dappertutto. E noi dobbiamo cercarla, per la gloria di Dio.
Ma non si tratta di una gioia per ‘turisti’. Il nostro pellegrinaggio supera la breve felicità di una crociera in periodo di vacanza. È un viaggio che va dalle limitazioni di una routine prigioniera delle nostre abitudini, alla libera creatività di quell’amore che è scelta e impegno personale. Il paradiso simboleggia questa libertà e creatività, essa può essere espressa nell’incontro umano e personale con l’estraneo visto come un nostro altro sé.
Finchè gli inca, i maya, i negri, gli ebrei, o chi altro si voglia, ci si presentano con la veste condizionata dai nostri cliché, come una massa di limitati e non negoziabili in sé, sembreranno di ostacolo al nostro cammino. Il ‘nostro’ paradiso viene messo alla prova e cercheremo di difenderlo dalla loro presenza, sottomettendoli, asservendoli, eliminandoli.
San Francesco con il Sultano di Babilonia Quinta CrociataDobbiamo ora sapere che, se viaggiamo fino ai confini della terra e troviamo noi stessi negli aborigeni che più differiscono da noi, avremo compiuto un pellegrinaggio fruttuoso. Ecco perché il pellegrinaggio è fruttuoso e necessario, in qualsiasi modo venga fatto. Starsene a casa a meditare sulla divina presenza non è sufficiente per il nostro tempo. Dobbiamo giungere al termine di un lungo viaggio per capire che gli stranieri che incontriamo sono nient’altro che noi stessi.
È in questo spirito che San Francisco andò in pellegrinaggio – il suo originale tipo di crociata – per incontrare il Sultano di Babilonia: come messaggero non di violenza, non di arrogante potere ma di umiltà, di semplicità e amore.

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