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Tae Hye sunim, una vocazione, un insegnamento e una prospettiva: vivere il buddhismo in Occidente

In questa intervista il monaco Tae Hye sunim ci parla della sua formazione monastica, della difficoltà di orientarsi tra le diverse aree della spiritualità buddhista, ma soprattutto formula, già nel 1994, delle prospettive sul Buddhismo in Occidente vive ancora oggi.  Attualmente, oltre all’ordinazione mahayana nel 1987, ha ricevuto nel 1999 anche quella theravada.  Dopo un lungo soggiorno quale Abate presso il tempio buddhista de La Pagoda nei pressi di Castel Focognano (AR), si è trasferito a Lerici (SP) dove ha realizzato nel 2000, ristrutturando un locale preesistente,  il Tempio della Non-Forma, il  Musang-am. Qui ha fondato l’Associazione Karuna – Onlus che si propone iniziative di impegno sociale, quali p.es. l’aiuto ai bambini poveri e orfani in Birmania e Sri Lanka, ai carcerati e ad una ampia attività animalista.

Intervista 

al monaco Tae Hye

  Quali ragioni esistenziali e quali motivazioni spirituali ti hanno portato al buddhismo?

Fin dalla prima giovinezza cercavo una via che conducesse all’armonia tra gli aspetti intellettuale, emozionale e pratico della vita; tra gli esseri umani e la natura, la via verso una schietta felicità. Il buddhismo sembrava offrire la filosofia più ragionevole e la moralità più elevata basata sulla non violenza. Fui specialmente impressionato dall’amore verso gli animali e tutti gli esseri senzienti. Nell’unità della vita non vi è un sé separato, indipendente dall’interrelazione con l’intera vita. All’età di sedici anni iniziai a considerarmi un buddhista, benché a quel tempo non conoscessi altri buddhisti ed avessi solo pochi libri tradotti in finlandese.

Quali sono le tue esperienze nello studio e nella pratica del Dharma?

Poiché in Finlandia non c’erano templi buddhisti, decisi di recarmi presso centri buddhisti in altri paesi. Nel 1980 giunsi in Italia all’Istituto Lama Tzong Khapa e vi rimasi per alcuni mesi. Compresi che il tantrismo tibetano è troppo complicato per la mia mente semplice, ma la vita comunitaria dell’Istituto fu assai illuminante e sentii che avrei desiderato vivere secondo lo stile monastico e cercare di aiutare la gente come monaco. Ricevetti, più tardi, l’ordinazione a novizio in Thailandia e nel 1987, dopo alcuni anni di vita errabonda, l’ordine a monaco in Corea. Nella mia pratica, la meditazione vipassana si sviluppò naturalmente nello zen della mente unica, il dhyana della quiddità. La “casa” della mia vita senza casa è Songgwan-sa, un monastero zen coreano, antico di 1200 anni, dove molti altri monaci e monache occidentali hanno praticato sotto la guida del defunto Kusan sunim e dell’attuale maestro He Kwang sunim.

Come si caratterizza la tradizione dello zen coreano rispetto alle altre tradizioni buddhiste ed in particolare rispetto allo zen giapponese (Rinzai e Soto)?

La scuola zen coreana chogye-son (pronuncia: cioghie son) deriva il suo nome “chogye” dal luogo di residenza del sesto patriarca Hui Neng. “Son” è la pronuncia coreana della parola “dhyana”, contemplazione. La scuola chogye vuole rappresentare la scuola di Hui Neng , lo zen originario precedente alla divisione in sottoscuole. La sua fondazione risale al settimo secolo. E’ stato detto che se qualcuno vuole sperimentare cosa fu lo zen (chan) nell’antica Cina, dovrebbe andare in Corea, poiché l’antico stile di vita di monaci e monache itineranti si è meglio conservato tra le montagne della Corea. Lo spirito dello zen coreano è meno militaresco di quello giapponese.Le regole della sala di meditazione sono meno formalistiche, ma i principi morali sono maggiormente sottolineati. I monaci e le monache dell’ordine chogye vivono nel celibato in accordo con le regole del vinaya. Come nella scuola Rinzai, la pratica più comune è la meditazione sul dubbio esistenziale (hwadu), ma alcune abitudini, come ad esempio il sedersi di fronte al muro, sono simili a quelle della tradizione soto. Lo zen coreano non è unidirezionale. Oltre al metodo hwadu vengono praticati anche la recitazione di mantra, la consapevolezza del respiro e la serena chiarezza (solo sedersi). La trasmissione dell’insegnamento viene principalmente dalla scuola Lin-chi (Rinzai) cinese.

Com’è la vita monastica nella tradizione coreana?

Nei templi coreani vivono molti tipi di persone: postulanti che lavorano in cucina, monaci e monache novizi (il noviziato dure tre o quattro anni), monaci e monache completamente ordinati, praticanti laici ed in alcuni piccoli templi anche orfani o vecchi indigenti. “sunim” è il termine generico di rispetto per indicare monaci e monache. Molti novizi studiano sutra e filosofia per alcuni anni nelle scuole monastiche. Dopo l’ordinazione finale, un sunim può iniziare un periodo di zen intensivo nella sala di meditazione o lavorare al tempio. Alcuni sbrigano i doveri dell’insegnamento, alcuni divengono specialisti di cerimonie ed alcuni meditatori si recano negli eremi di montagna per ritiri solitari di lunga durata. La vita nel tempio è divisa in quattro stagioni: inverno ed estate per i ritiri, primavera ed autunno per altre attività. Durante i ritiri di tre mesi, coloro che si trovano nella sala di meditazione, praticano otto, dieci o dodici ore quasi ogni giorno. Giorni particolari sono quelli in cui tutti lavorano nei campi e quelli della luna piena e della luna nuova. Nei giorni di luna piena e luna nuova, i maestri pronunciano i discorsi sul Dharma. I laici visitano spesso il tempio, prendono parte alle attività e mantengono i templi con le offerte. Molti praticanti laici sono donne e soprattutto molte donne anziane praticano intensamente la meditazione zen, la recitazione dei sutra e le prostrazioni.  L’essenza della contemplazione è realizzare la “non-mente”, la natura di Buddha, istante per istante, essere consapevoli del momento presente. Il maestro zen Shen Hui, un discepolo di Hui Neng, ha scritto: “Sappi da te stesso che l’intrinseca essenza è quieta, vuota e senza attributi. E’ senza dimora od attaccamento ed uguale allo spazio, e non vi è alcun luogo che non pervada. Questo è il corpo della quiddità dei Buddha. La quiddità è l’essenza del non pensiero”. Dovremmo investigare continuamente cos’è la mente non dimorante, cos’è la mente chiara senza discriminazioni, cos’è la vera libertà. Dalla libertà derivano la vera moralità, la vera meditazione e la vera saggezza.

Qual è la pratica a La Pagoda?

Il tempio Pagoda è un tempio piccolo e modesto, con uno o due monaci e due gatti. Piuttosto che organizzare ritiri in gruppi o corsi, ci basiamo su un programma giornaliero. I praticanti possono venire e condividere la nostra vita che consiste in contemplazione, brevi cerimonie, lavoro e studio. Generalmente, dedichiamo la domenica alla pratica intensiva. Lo studio è incentrato sulla lettura e l’approfondimento degli scritti degli antichi maestri: Hui Neng, Huang Po, ecc. Gli ospiti della Pagoda devono rispettare i cinque precetti ed i principi della vita meditativa, p.e. non mangiando carne e non bevendo alcolici. I visitatori possono fare offerte volontarie per il mantenimento del tempio.

Secondo te, quali dovrebbero essere le linee di sviluppo del buddhismo in Occidente? I

n Occidente ci sono già tanti centri buddhisti per laici. Ora si dovrebbe sviluppare maggiormente anche la vita monastica. Vivere come monaco in Europa o in America è difficile. In alcuni centri buddhisti i monaci svolgono più che altro funzioni di albergatori. Sarebbe importante che i monaci e la monache delle diverse scuole avessero frequenti contatti, sviluppando così un modello di vita monastica adatto all’Occidente. Per quel che riguarda le principali scritture buddhiste, le traduzioni nelle lingue occidentali differiscono da scuola a scuola e non sempre sono affidabili. Secondo me, sarebbe opportuno un accordo fra le varie scuole che consenta di ottenere una versione unica e corretta. Per esempio, il Sutra del Cuore è usato nella stessa versione in Cina, Corea e Giappone (l’unica differenza è la pronuncia). Le traduzioni italiane, inglesi, ecc. sono, invece, diverse fra loro. La base dell’insegnamento degli illuminati è molto semplice: essere consapevoli, osservando la realtà così com’è qui ed ora. In 2400 anni tanti tradizioni buddhiste hanno sviluppato forme complicate di dottrine, di metodi e di rituali. Noi occidentali possiamo ritornare alla semplicità delle origini. Credo che il futuro del buddhismo nel mondo sarà caratterizzato da un ritorno agli insegnamenti essenziali. Il metodo più profondo è il non-metodo della non-scuola. Con la mente vuota si può comprendere.

(Tratta dal n.51 della rivista Paramita anno 1994)

 

Tae Hye Sunim (a destra in alto nella foto)

Durante un ritiro a Taiwan

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