Malattie croniche, Dialoghi dai luoghi di cura – Careggi 6 giugno 2017. Semi & Frutti di Rodolfo Savini
In questa pagina riporto gli stimoli raccolti e rielaborati dell’incontro del 6 giugno. “Dialoghi dai luoghi di cura” è il titolo di un progetto che si sviluppa con incontri mensili fino a dicembre ’17. Le diverse correnti di pensiero, da quelli laiche a quelle religiose, si incontrano per riflettere e animare la “Sala di preghiera interreligiosa” aperta all’Ospedale di Careggi ai primi di aprile ’17. A questo incontro ha trovato degli stimoli da me qui sotto rielaborati in una prospettiva funzionale ai valori della mia ricerca. I “semi” li ho raccolti in particolare dagli interventi di Guidalberto Bormolini, coordinatore del Progetto, da Marcello Mancini dell’Unione Buddhista Italiana e da Ipnu Coman resentante dell Chiesa Ortodossa Romena.
Semi e riflessioni personali di rs
La malattia cronica crea una situazione di vulnerabilità, di fragilità, di finitudine, di solitudine nell’individuo. La nostra cultura vuole ignorare per lo più questo stato d’essere proiettata come usualmente è verso i fittizi valori del benessere, della superficialità, di una esistenza sostenuta dall’apparire, verso il mostrare e il mostrarsi.
Dietro al corpo della persona malata c’è qualcosa di più, assi di frequente una domanda pervasa da una profondo disagio: “Perché questo è accaduto proprio a me?”.
Intorno a questa domanda vi è un velo di rifiuto, più o meno intenso, di questa fragilità sia da parte del malato, sia da parte della famiglia eppure sia la famiglia sia il malato devono confrontarsi obbligatoriamente con questa esperienza.
L’Ospedale fornisce una visione oggettiva della situazione, nel malato e nell’ambiente emotivo che lo circonda spesso questa visione si smarrisce a favore di una prospettiva soggettiva; davanti a questa difficoltà spesso, a partire dalla famiglia, ha luogo uno slittamento verso la dissimulazione anziché verso una delicatezza condivisa del nuovo “dato di fatto”.
Al cospetto di questo slittamento, nelle sue diverse forme, si adombra la possibilità di dar vita ad una consapevolezza complessiva dell’evento, ma non siamo preparati, manca la capacità di fare esperienza della malattia e della sofferenza.
Con le ingannevoli immagini del quotidiano si cerca di spegnere la sofferenza. Questo riesce allorché ci si trovi davanti ad una sofferenza temporanea ma non fanno presa al cospetto di una malattia cronica. Eppure anche la sofferenza fa parte della scala dei grandi valori esistenziali capaci di trasformare gli egoismi, oltre l’onda rabbiosa, in un’attitudine aperta e altruistica.
Come può la malattia cronica rientrare nella prospettiva buddhista che vede la vita pervasa dalla ricerca della felicità? Questa condizione incrina la propria visione della vita. La presenza della morte, sia essa vissuta dal malato sia da chi lo accompagna a vario titolo, pone domande che vanno al di là di ogni religione e, più in generale, riguardano il riorientamento della propria esistenza. In questi momenti dobbiamo aver chiaro il panorama relazionale che viene delineandosi. La presenza di conoscenti e amici non sempre è di aiuto, si può risolvere in discorsi ripetitivi o in suggerimenti superficiali.
Nel buddhismo la malattia è un “ornamento” che permette al malato di acquisire il senso della propria dignità e aiuta tutti, malato e chi vicino a lui se ne prende cura, ad alimentare una “compassione intelligente”.
Il malato ci mostra la “nostra” morte. Attraverso una rielaborazione consapevole di questa condizione si può trovare il varco verso una consapevolezza accogliente che aiuti le turbolenze esistenziali a farsi meno pressanti.
La prospettiva buddhista si articola in “Quattro sigilli”, in quattro differenti livelli di consapevolezza.
Il primo contempla la presa di coscienza che tutti i fenomeni sono impermanenti, frutto di una filiera ininterrotta di causa-effetto. Vale a dire che ogni cosa, come ogni evento, sono costituiti da una continua trasformazione condizionata. Dato questo ne deriva quello.
Il secondo sigillo concerne l’esperienza delle conseguenze derivanti dall’ignoranza di questi processi di trasformazione. Vi è una sofferenza che si assomma ad un’altra sofferenza, p.es. dice il Buddha, anzichè togliermi la freccia che mi ha colpito mi chiedo di che forma essa sia, da che distanza sia stata lanciata ecc. Vi è poi la sofferenza del cambiamento, il dover lasciare ciò che piace, il dover restare nella situazione che non piace e ancora, p.es. mi piace mangiare ma ad un certo punto sono costretto a fermarmi e ciò si trasforma in dolore.
Il terzo sigillo consiste nell’individuazione che tutti i fenomeni sono interdipendenti. Come in un castello di carte ognuna si regge sull’altra. L’incomprensione di questo nesso è fonte di sofferenza. La sua comprensione conduce all’esperienza di cui ci parla Thich Nhat Han che ci guida a scorgere in un foglio di carta una nuvola: senza nuvola non vi sarebbe acqua e senza questa neanche l’albero e così via.
Il quarto punto è la scoperta che la mente ha in sè per natura la pace. La sofferenza consiste nell’alimentare continuamente i pensieri con altri pensieri, nel continuare a rimestare il secchio con l’acqua sporca anzichè coltivare la tranquilla osservazione, la pazienza e la pace capaci di farne depositare le scorie.
La malattia, in una prospettiva cristiana ortodossa, può essere vista come un allontanarsi da Dio e al contrario la guarigione. La Chiesa è uno dei luoghi di guarigione, ma ancor più la preghiera del cuore.
I vizi e le passioni sono estranee alla natura di Dio e dell’anima. È il libero arbitrio che ci allontana
da Dio. La malattia va curata alle sue radici attraverso la preghiera silenziosa, la preghiera del cuore. L’anelito alla guarigione ha radice in una esigenza mistica. La malattia quindi è una caduta, un allontanamento da Dio che va ricomposto.
Il cuore è il luogo della creazione e della riconciliazione con Dio. Non vi è una teologia vi è una prassi, una pratica di preghiera silenziosa e di vita spirituale. Questo è il contesto in cui avviene il combattimento che vivifica la guarigione in un percorso di ascesi.
Per la salute dell’anima la tristezza è un segno della caduta, è la sconfitta del legame con Dio così come lo sono la debolezza dell’anima e la sua pigrizia. Il rimedio è la preghiera del cuore e una identificazione con Dio. Come il demonio è quella figura che allontana l’uomo da Dio così la preghiera incessante del cuore aiuta a ricompaginare questa ricerca.
L’incessante ripetizione della preghiera esicastica, contemplativa, sul modello proprio alla pratica del “Pellegrino russo”, accompagna il fedele giorno e notte a sentirne il suono e il risuonare del nome di Dio dentro di lui.
La guarigione consiste in una ricerca incessante di umiltà, l’umiltà è la sorgente della spiritualità. Al cospetto della durezza del cuore la preghiera profonda è come ferro fuso che scioglie ogni durezza.