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Dharma, il giusto e il vero; alle radici: le Upanishad (2)

Radici: le Upanishad, il giusto e il vero: Dharma, atman, brahman – Brihad-aranyaka-upanishad I,4

Con questo secondo testo intendiamo riportare una ulteriore lettura tratta dalle Upanishad che sono, sulla scia deii Veda, le più antiche sorgenti del pensiero indiano.  Da queste radici lontane prenderà avvio l’Induismo con i suoi ulteriori sviluppi, come, per citarne solo alcuni, il Buddhismo, il Vedanta, la Bhagavad Gita, gli Yogasutra. Riportiamo di seguito con semplicità il materiale raccolto durante le nostre letture soprattutto come condivisione di una passione comune. Ci scusiamo per le nostre traslitterazioni e per i lievi aggiustamenti operati. Il testo cui si è fatto riferimento è quello tradotto e curato da Pio Filippani-Ronconi ed edito da Boringhieri nella Collana dell’Enciclopedia di autori classici diretta da Giorgio Colli cui è di obbligo fare riferimento per la sua ricchezza:  Upanishad, i primi testi indiani di filosofia 

Le Upanishad rappresentano le radici di ogni spiritualità indiana, sono esse stesse espressione dei Veda, una raccolta di testi che travalica il tempo con radici un passato indefinibile. Questa Upanishad la Brihad-aranyaka-upanishad – Il grande breviario per gli asceti – a detta degli studiosi, è databile intorno al 700 a.C.

Termini chiave: il Dharma, la legge universale che  tutto governa. Lo atman, il divino nell’uomo, il Sè. Il brahman, il divino nel cosmo, il Tutto.

Prima lettura, Quarto brahmana
1 All’origine esisteva solo lo atman, sotto la forma di Purusha (l’Uomo cosmico primordiale). Guardandosi attorno egli non vide altro che se stesso. In primo luogo pronunciò le parole: “Io sono questi” (so aham). Donde venne ad essere il nome di “io” (aham). Da questo deriva che, anche oggi, se si chiama qualcuno, costui risponde in primo luogo: “sono io”. Indi dichiara un altro nome, che è il suo. Dato che egli, anteriore a ogni cosa, ha arso (ush) tutti i mali, per questo motivo egli è il Purusha. In verità colui il quale così conosce arde chiunque desideri porsi prima di lui.

2. Egli ebbe paura: perché colui che è solo ha paura. Indi considerò: “Di che cosa debbo io avere paura, se nulla esiste fuori di me?” Allora la sua paura svanì. Di che cosa infatti avrebbe dovuto aver paura? Si ha paura solo di un altro.

7. Tutto questo mondo era ancora immanifesto. Egli con nome e forma lo rese manifesto: “Questo si chiama così; questo ha tale forma”. Ugualmente ancor oggi con il nome e con la forma si determina ogni cosa: “Questo ha un tale nome, questo ha una tale forma”. In questo mondo egli stesso è penetrato fino alla punta delle unghie, come il rasoio racchiuso nella sua guaina non lo si vede: allorché respira lo si chiama respiro, allorché parla lo si chiama voce, allorché guarda lo si chiama occhio, allorché ode, orecchio allorché pensa lo si chiama mente. Questi però sono soltanto nomi dei suoi atti. Colui il quale li considera isolatamente, costui non conosce perché egli si manifesta solo parzialmente in questo o in quello. E bisogna riconoscere in primo luogo lo atman, perché in lui è l’unità di tutte le cose. In ogni cosa è lo atman, che bisogna rintracciare, perchè mediante lui si conosce il tutto. Allorché colui il quale così conosce ritrova lo atman seguendone la traccia, costui egualmente troverà fama e gloria.

8. Più amato di un figlio, più caro della ricchezza, più caro e più intimo di qualunque cosa è questo atman. Lo atman deve essere considerato come la cosa più cara per eccellenza. Colui il quale considera lo atman come la cosa veramente cara, a costui non sfuggirà certamente ciò che gli è caro.

10 In verità il brahman era in origine tutto questo universo: questi conobbe se stesso (atman): “Io sono brahman”, disse, ed esso era Tutto. Indi uno degli Dei che si andava svegliando al pensiero lo divenne; così pure i rishi (sapienti) e così gli uomini. Ugualmente ancora oggi colui il quale così conosce: “Io sono brahman”, costui è il Tutto, e gli Dei stessi non possono impedirglielo, perché egli diventa il Sé (atman) di loro stessi.   perché egli diventa il Sé (atman) di loro stessi. Con lui il quale venera una divinità considerando che essa sia altro da sé, dall’atman: “Altri è il Dio e altri sono io”, costui non sa.

14 Esso (il brahman-atman) non si manifestava ancora. Allora, al di sopra di se stesso, diede luogo ad una forma superiore: il Dharma, la legge universale. Il Dharma è la sovranità della sovranità. Questa è la ragione per cui nulla esiste di superiore al Dharma. Uno più debole invero bilancia uno più forte di lui mediante il Dharma, come mediante il potere regale. Ciò che è Dharma è verità per eccellenza. Perciò di uno che dice il vero, dicono che dica il giusto (Dharma) e di uno che dica il giusto dicono che dica il vero. Queste due cose, il giusto e il vero, sono non sono che una sola cosa.

16. Quindi questo atman è il luogo di tutti gli esseri esistenti ed è il mondo degli Dei, per quanto si sacrifica e per quanto si offre. È il luogo degli rishi per quanto recitato; è il luogo degli uomini per quanto di elemosine, di vestimenti e di cibi si dà, ed è il luogo del bestiame per acqua ed il foraggio che loro si dona; è il luogo degli animali e degli uccelli, fino alle formiche per l’asilo che loro procurano le dimore degli uomini. E come si desidera l’incolumità per la propria sede, egualmente tutti gli esseri viventi, da tutte le parti, desiderano l’incolumità per colui che così conosce. Tutto ciò invero è stato conosciuto e indagato.

17 All’origine vi era soltanto lo atman, esso solo. Esso desiderò: “Possa io avere una sposa, e quindi generare, e quindi aver ricchezza e compiere azioni”. Di tale grandezza è questo desiderio, che non si potrebbe trovare desiderio che lo superi. Questo è il motivo per cui ancora oggi chi è solo desidera: “Possa io avere una sposa, e generare, e possedere ricchezze e compiere azioni!” E, fintanto che gli manca uno solo di questi oggetti, egli si sente incompleto: ecco la sua pienezza. Il pensiero è il suo atman, la parola è la sua sposa, lo spirito vitale è la sua progenie, la vista sono i beni terrestri, perché solo mediante la vista si scoprono. L’udito sono i beni celesti perché solo mediante l’udito si riceve l’insegnamento. Lo atman stesso è la sua attività, perché mediante lo atman che si agisce. Colui il quale così conosce ottiene tutto.

da Upanishad, antiche e medie – traduzione di Pio Filippani-Ronconi, Boringhieri,1977

 

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