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Incontro con i Baul di Silvia Merialdo – 20 settembre 2010

Ascolta le mie canzoni, è lì che troverai le tue risposte”

Postato 20th September 2010 da Silvia Merialdo

Come il suono del violino.

Lirico e struggente, malinconico, mistico, classico e notturno.

Ma che quando vuole diventa folk, gitano, scanzonato e un po’ pazzerello.

Musicalmente non ha niente a che fare con il violino, che è solamente una metafora, ma la musica che ho sentito cantare da un Baul (menestrello bengalese) mi ha ricordato, nell’anima, quella di un violino.

Folle e lirico, popolare e mistico.

E’ notte fonda quando arriviamo con Dhananjay Ghoshal a Shantiniketan, il villaggio dove Rabindranath Tagore fondò un campus scolastico e universitario, ancora oggi molto attivo.

Dhananjay, poeta e scrittore bengalese, è la mia guida letteraria e spirituale per il Bengala Occidentale: è lui che mi traduce dal bengali, è lui che mi introduce nel mondo dei Baul, che mi presenta ad altri amici scrittori, poeti e cantori di questo mondo bengalese in cui tutti sono poeti, in cui non esiste parlare per più di due minuti senza aver citato “Radindranath”: il premio Nobel indiano, Radindranath Tagore, si chiama rigorosamente per nome.

E’ Dhananjay che, fra l’altro, ha scritto un libro sui Baul in bengali, che spero un giorno di leggere (un giorno, quando lo tradurrano in inglese; un giorno, quando imparerò il bengali).

E’ lui che inizia la serata poetica radunati nella stanza della guesthouse in cui ci siamo sistemati. E’ lì che conosciamo suo amico Baul arrivato in moto dal suo villaggio apposta per cantarci le sue canzoni. Ha i capelli lunghi e folti, la pelle scurissima, un sorriso che gli illumina il viso.

E’ vestito di arancione, con un abito tradizionale indossato per l’occasione.

Inizio a fargli domande per capire qualcosa della sua arte, ma lui risponde con le sue canzoni: è lì per cantare, con la sua voce potente e lirica, con il suo tamburo e il suo ektara, lo strumento tipico dei Baul fatto di una sola corda.

Odia la politica (argomento che ogni tanto qualcuno cerca di sollevare), è anarchico nell’animo, sembra vivere unicamente di musica e poesia.

Mi sta dicendo: ascolta le mie canzoni, è lì che troverai le tue risposte.

Le sue canzoni sono del tipo più svariato: alcune sono poesie di Dhananjay girate in musica, altre le ha composte lui, altre sono vecchie canzoni tradizionali di autori ignoti, canzoni devozionali per Krishna ispirate al GitaGovinda (il poema sanscrito che parla dell’amore fra Radha e Krishna), altre ancora sono composte secoli fa da Baul passati alla storia – una storia tutta orale e cantata.

A poco a poco inizio a capire qualcosa del suo mondo: i Baul viaggiano nel Bengala rurale di villaggio in villaggio a cantare le loro poesie ai vari Mela (festival religiosi, spesso legati al calendario agricolo e lunare), vivono di offerte e di poco altro, sono anticonformisti, incuranti delle convenzioni sociali, delle caste, delle divisioni religiose, tanto che sono sia hindu che musulmani (più precisamente i musulmani si chiamano Fakir).

Influenzati da diverse espressioni religiose come il tantrismo, il sufismo e il vaishnavismo, hanno sviluppato proprio quella “religione dell’uomo” che tanto ammirava Tagore: quella che va alla ricerca della scintilla divina che guizza nel profondo del cuore umano, e in tutto il meraviglioso creato.

Alcuni sono sadhu e asceti, altri sono solo cantori e mendicanti che vivono di musica.

Tagore ne fu ampiamente influenzato ed ebbe rapporti profondi con loro, raccogliendo in particolare l’arte di Lalon Fakir Shah, uno dei Baul storici più famosi. Anche in occidente, personaggi come Grotowski, Allen Ginsberg e Bob Dylan ne furono affascinati.

Io stessa sono incantata: la musica mi assorbe, ma vorrei sapere di più.

Solo alla fine del viaggio, al Vodafone Crossword Award troverò un libro in inglese che parla dettagliatamente di loro. Nei prossimi post racconterò anche di quello.

E se riesco, farò sempre così per raccontare questo viaggio: ogni esperienza ha un suo libro. E’ vero che la distanza fra realtà indiana e quello che si legge nei libri è abissale ed è vero che questo abisso al mio ritorno mi ha tenuto lontana per un po’ da ogni forma di scrittura e lettura.

Ma è anche vero che i libri sono la mia vita e, per fortuna, attraverso le loro pagine qualcosa si riesce sempre a comunicare.

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