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Il padrone della parola, dello spirito e del soffio vitale – Upanishad 3° incontro a La Pagoda

Radici: le Upanishad, “Seduti ai piedi del maestro”

L’atman, il Sé, è il padrone della parola, dello spirito e del soffio vitale

Brihad-aranyaka-upanishad – “Breviario meditativo per gli asceti”

Prima lettura, V-VI

Con questo terzo incontro intendiamo riportare una ulteriore lettura tratta dalle Upanishad che sono, sulla scia dei Veda, tra le più antiche sorgenti del pensiero indiano datate intorno all’VIII-VII sec. a.C. Da queste radici lontane prenderà avvio l’Induismo con i suoi ulteriori sviluppi, come, per citarne solo alcuni, il Buddhismo che lo criticherà pur traendone molti spunti, il Vedanta, la Bhagavad Gita, gli Yogasutra, che ne seguiranno in modo originale gli insegnamenti.

Proseguiamo nel riportare di seguito con semplicità il materiale raccolto durante le nostre letture soprattutto come condivisione di una passione comune e come stimolo per un approfondimento.

Ci scusiamo per le nostre traslitterazioni e per i lievi aggiustamenti operati. Il testo cui si è fatto riferimento è quello tradotto e curato da Pio Filippani-Ronconi ed edito da Boringhieri nella Collana dell’Enciclopedia di autori classici diretta da Giorgio Colli cui è obbligo fare riferimento per la sua ricchezza:  Upanishad, i primi testi indiani di filosofia, in particolare ora pag. 58 sgg. Un ulteriore riferimento di più semplice lettura è tratto dal testo della Maestra Parama Karuna Devi, “Le 108 Upanishad” pag. 22 sgg.

Le Upanishad rappresentano le radici di ogni spiritualità indiana, sono esse stesse espressione dei Veda, una raccolta di testi che travalica il tempo con radici in un passato indefinibile. Questa Upanishad la Brihad-aranyaka-upanishad – Il grande breviario per gli asceti – a detta degli studiosi, è databile intorno al 700 a.C.

Come usualmente si dice l’attività del Bubbha prende avvio da una intima insoddisfazione per la divisione in caste. La sue era quella dei “Guerrieri” Ksatrya, subordinata a quella dei Brahmana, dei Sacerdoti. Questi ultimi, eredi del sapere vedico (la radice vid indica appunto il vedere) e di quello che ne è seguito, le Upanishad (“Seduti accanto” al maestro) avevano rafforzato intorno al VI secolo a.C., specie all’epoca del Buddha, il ruolo della loro casta quale mediatrice tra l’uomo e il divino, depositaria della pratica rituale. I brahmani erano loro in grado di avvicinare l’anima al divino, lo spirito umano al cosmico, l’atman al brahman.

Per capire il rilievo dell’insegnamento del Buddha su anatta, non-io, non-sè, an-atman in sanscrito, occorre capire che cosa si intende per atman. L’esperienza del Sé, la ricerca dell’atman appunto, andava raffreddandosi nel rigore formale brahmanico e a ciò si opporrà il Buddha con il suo insegnamento.

Nel periodo cui fanno riferimento queste Upanishad antiche e medie l’anima, l’atman e il brahman avevano implicazioni assai profonde nella concezione dell’uomo e del cosmo, del micro e macro cosmo, della realtà tutta.

Termini chiave di questi passi:

Lo atman, il divino nell’uomo, il Sé che pervade e allo stesso tempo trascende la parola (vac), lo spirito (manas) e il soffio (prana).

I cinque soffi di cui parla a lungo lo yoga sono: udana, il soffio vero l’alto; prana, il soffio nei polmoni; samana, il soffio digestivo;  apana, il soffio che spinge in basso e vyana il soffio pervadente.

L’atman come mozzo della ruota

Prajapati, il Signore delle Creature, divinità vedica che simboleggia il potere creature insito in ogni aspetto del reale

Il ruolo paralizzante di Mrtyu, la Morte.

Per i precedenti incontri vai su “Cerca” e digita Upanishad

 Il testo

Prima lettura, V, 3 

L’atman invero è fatto di ciò: di parola, di spirito, di soffio.

Lo spirito, manas, la parola, vac e il fiato, prana sono i tre che egli, l’atman, fece per se stesso

“Il mio spirito era altrove, non ho visto; il mio spirito era altrove, non ho udito” allorché si dice così si vuol significare che, in effetti, si vede grazie lo spirito e si ode grazie allo spirito. Desiderio, pensiero, dubbio, fede, incredulità, volontà, fiacchezza, pudore, riflessione, paura, tutto ciò è spirito. Per questo motivo avviene che uno, anche se toccato alla schiena, se ne accorge mediante lo spirito. 

Tutto ciò che è suono è anche parola. 

Prana, apana, vyana, udana, samana, ana tutto ciò non è altro che prana (con un significato inclusivo).

Questo atman, invero, è fatto di tutto ciò: di parola, di spirito e di soffio.

V, 13

Tutti questi, spirito, parola e soffio, sono uguali, tutti questi sono infiniti. Colui il quale li vende finiti, costui conquista un mondo finito, ma colui il quale li conosce come infiniti, costui conquista un mondo infinito.

V,15

Il mozzo della sua ruota è infatti questo atman, cerchio ne è la ricchezza. Perciò, anche se egli ha perduto tutte le sue ricchezze, però resta in vita con l’atman, si dice che ha perduto soltanto il cerchio

V, 21

Prajapati generò le diverse facoltà, e costoro, una volta che furono generate contesero l’una con l’altra: “io parlerò“, disse la parola; “io vedrò“, disse l’occhio; “io udrò“, disse l’orecchio. E, egualmente dissero tutte le altre seguendo le loro funzioni. Mrtyu (la Morte), adombrandosi, le domò, le  afferrò e avendole afferrate, le paralizzò. Questa è la ragione per la quale la parola giunge all’esaurimento, egualmente giunge all’esaurimento l’occhio, e l’orecchio. Mrtyu, però, non riuscì ad afferrare il soffio centrale.  Gli altri vollero sapere: “Il migliore fra noi è costui che, si muova o stia fermo, non patisce turbamento né danno. Diventiamo, quindi, ciascuno di noi, un suo aspetto particolare”. Tutti divennero, pertanto, un aspetto particolare di costui. Per tale ragione essi sono chiamati da lui i prana, i soffi vitali. Colui il quale così conosce dà il suo nome alla famiglia alla quale appartiene. E colui il quale contenda con altri così conosce si dissecca e finalmente muore. Fino a qui si è trattato l’argomento secondo il punto di vista individuale.

VI, 6

Ancorché triplice, questa trinità è una: lo atman, pur essendo uno, è questa trinità. Esso è immortale, velato dal reale. In verità il soffio è immortalità ovvero lo spirito vitale è ambrosia, il nome e la forma sono realtà: e da questi due il soffio è velato. Om

 

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