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Virtù, Meditazione, Saggezza, Animo – riflessioni su “Gli ultimi giorni del Buddha”

Ogni cosa nasce da un seme

Nel testo che ricorda gli ultimi giorni di vita del Buddha, il Maha-parinibbana-sutta, ritorna assai di frequente, ben sette volte, il passo che collega tra loro, in progressione, diversi moment della pratica e della vita su cui soffermare la nostra attenzione.

Il testo è il seguente:

Ecco la virtù, ecco la meditazione, ecco la sapienza. La meditazione sviluppatesi sulla virtù è di grande frutto, grande profitto; la sapienza sviluppatesi sulla meditazione è di grande frutto, grande profitto; l’animo sviluppatosi sulla sapienza si libera da tutti gli influssi: ossia dall’influsso del sesso, dall’influsso dell’essere, dall’influsso dell’ignoranza.

In genere si possono distinguere i grandi valori che danno forma alla nostra interiorità e che giustamente sono stati paragonati al volo del dharma (l’insegnamento che libera dal caotico divenire del samsara). Le due ali di questo uccello solo samadhi (il raccoglimento meditativo, la concentrazione) e prajna (la sapienza-saggezza) mentre il corpo è costituito da sila (la virtù). Queste tre dimensioni interagiscono nel nostro “animo” alla ricerca di un equilibrio tra la mente e il cuore.

Nel passo che ora stiamo leggendo l’ordine di questi fattori si presenta in ‘successione’ e mi sembra utile riflettere su questo aspetto. Più che all’interezza di un uccello con ali e corpo, un tutt’uno che vola verso il dharma, qui il Buddha presenta appunto una successione, cioè qualcosa che fa chiarezza e organizza la reciproca relazione in un prima e in un dopo.

Illuminazione immediata

Da un lato questi tre elementi interagiscono dentro di noi tanto che il nostro “animo” a difficoltà riesce a distinguerli.

Una pura presa di coscienza potrebbe già da sola fare tabula rasa della nostra irrequietezza, del nostro torpore. Non è necessario tanto tagliarle per allontanarle da noi, quanto avvalersi del frutto per scorgerne le radici.

L’attività della concentrazione è di fissare l’attenzione su un oggetto, p.es.  ‘irrequietezza’ e quella della saggezza individuarne -investigazione- le radici. Quindi non occorre estirpare questi stati d’animo, anche se questa sembra la soluzione più ovvia, né ridurli a semi bruciati, soluzione anche questa indubbiamente efficace.

Sarebbe sufficiente quella semplice e al contempo ardua “illuminazione immediata” capace in un istante di risvegliare la coscienza alla realtà profonda delle cose e della natura, nel senso più ampio, dall’uomo alla pietra.

Il dharma, volando con le ali di prajna e samadhi e il corpo di sila, potrebbe in un istante trovare il suo nido e aprirsi alla contemplazione.

La pratica nel suo sviluppo

Da un altro lato è possibile muoversi in senso diverso. Con la concentrazione ci vogliamo allontanare e prendere una distanza dai nostri giudizi-pregiudizi così da creare i presupposti per rendere operativa la saggezza discriminativa. La potenzialità di quest’ultima è di cogliere sia il ruolo del soggetto che conosce, sia l’oggetto conosciuto sia il fattore intermedio che permette di collegare percettore e percepito.

Si cerca cioè di liberare-depurare ogni nostra percezione da ciò che vi si sovrappone, dalla crosta che i nostri giudizi vi hanno sovrapposto. In tal modo il mondo che ci circonda e quello della nostra interiorità vengono purificati dal fuoco della concentrazione. Emerge in tal modo più evidente la nostra potenzialità di “vedere”, a prescindere dal soggetto e dall’oggetto. La mente, così liberata dall’immediata reazione del giudizio (o pre-giudizio), si raccoglie in se stessa. Questa è per eccellenza la via dello Yoga che volge la concentrazione verso l’isolamento della nostra natura propria dai relativi oggetti.

Il Buddhismo pone più l’accento ad applicare la concentrazione sul respiro che, con il suo fluire, crea dei presupposti importanti. Nell’osservare il respiro si osserva un fluire che, proprio per questa sua natura, si connette all’impermanenza sia del soggetto, che dell’oggetto che del suo medium, i sensi, tutto scorre e nulla “è”.

Ora ha luogo il momento in cui queste due dimensioni, concentrazione e saggezza, interagiscano tra loro.

La concentrazione fissa l’attenzione sulla radice. La consapevolezza-saggezza si apre più sicura a ciò che circonda tale radice, e così della radice coglie lo sviluppo in un’albero e in tutti i suoi frutti.  Sì consolida la  capacità discriminativa. Da questa specifica esperienza si consolida la fiducia che permette a sua volta di rendere sempre più rapida questa connessione concentrazione-saggezza. Allora il nostro animo coglie con precisione il fattore soffocante degli “influssi”, cioè di quella soggezione ai diversi fattori dispersivi.

Tra questi “influssi” dispersivi e condizionanti, gli asava, ricorrono usualmente quelli della sessualità, dell’essere e dell’ignoranza. La sessualità è il sinonimo per eccellenza di attaccamento e possessività, l’ignoranza è vivere trasportati, ignari, dal fluire del samsara. L’influsso dell’essere ci riconduce all’esperienza dell’io. L’io è immerso in questo fluire, in questo incessante mutamento che percorre tutta l’esistenza, dalla nascita alla morte. Ritenere che l’io abbia una sua stabile immutabilità è l’inganno creato dal tempo e il Buddha c’è lo ricorda in ogni suo insegnamento. Tutto è privo di una sostanza propria, tutto è impermanente e così anche l’io è in realtà  privo di un sè, di un “essere”, è impermanente, è un flusso, è un non-sè, è anatta.

Il processo che il Buddha delinea dalla virtù, alla concentrazione-meditazione e poi alla saggezza e alla libertà dagli asava, dagli influssi, ci consente di individuare tappe importanti e ineludibili del nostro processo di crescita interiore. Questi fattori, se coltivati con attenzione uno per uno, attivano necessariamente un processo ciclico in cui nuovamente, virtù, concentrazione e saggezza ritornano a giocare il loro ruolo per purificare l’animo.

In tal modo, progressivamente, si comprende il senso della nostra pratica. L’intento che il praticante si pone è di comprendere la forza dell’insoddisfazione esistenziale  (dietro a cui ribollono sofferenza e dolore), la sua origine e la sua causa, per giungere a vedere con chiarezza le le cose  così come sono .

Il dharma assorbe in sè il perenne girare della Ruota del Samsara.

 

Riporto a mo’ di epilogo due passi tratti sempre da questo testo:

Il sublime, seguito da Anando e dalla comunità di monaci, procedette verso il villaggio di Bhanda, dove prese dimora. Là ora il sublime disse di nuovo ai monaci: “Siccome finora, o monaci, non si erano riconosciute e comprese le quattro sante verità del dolore, dell’origine del dolore, della fine del dolore e della fine del dolore: perciò appunto, o monaci, è stato finora girato e percorso, da me come da voi, questo lungo cammino. Ora però, o monaci, è stata riconosciuta e compresa la santa virtù, la santa meditazione, la santa concentrazione, la santa sapienza, la santa libertà: è stata recisa la radice dell’essere, esaurita la sete dell’essere e non c’è più riessere. p. 39 Giuseppe De  Lorenzo, 1934 Mahaparinibbana sutta

 

Il Buddha, nel parlare ad un monaco dei necessari risvegli, dice:

Fin quando i monaci effettueranno il risveglio del sapere, il risveglio della meditazione, il risveglio dell’energia, il risveglio della serenità, il risveglio della purità, il risveglio della concentrazione, il risveglio dell’equanimità: fin tanto c’è da aspettarsi un prosperare dei monaci, non un deperire” p. 23,  Giuseppe De Lorenzo, 1934 Mahaparinibbana sutta

 

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