Accettami come discepolo! Upanishad (4)
Brhad-aranyaka-Upanishad
Il grande breviario meditativo per gli asceti viventi in ritiro nella foresta
Seconda lettura, Primo testo, Versi 1-20; vari passi citati in corsivo
Questo testo, come i tre precedenti (vedi: “cerca voce Upanishad”) intende riportare alcuni passi letti a La Pagoda. Le radici dell’insegnamento del Buddha affondano proprio in questo il contesto socio-culturale. Questa era l’atmosfera che respirava, da qui prese avviò la sua ricerca che giunse alla scoperta di una spiritualità libera dai legami contingenti e che vive ancora oggi più moderna che mai.
In questo testo abbiamo come protagonista il re Ajatasatru (1) della casta dei Guerrieri , gli Kshatriya (raffigurato qui in evidenza), che insegna a Gargya (1), un Brahmano. Si verifica un capovolgimento dei ruoli tradizionali essendo usualmente compito della casta dei Sacerdoti di trasmettere l’insegnamento. Questo capovolgimento allude alla fluidità della relazione tra queste due caste nel passaggio dagli antichi Veda (2000 a.C,) alle più recenti Upanishad (700 a.C.).
Per il Buddha entrambe le caste non liberano l’uomo dall’ignoranza e di sofferenza e il passo che fa è proprio quello di superarle. Così come il sacerdote dei Gargya si arrende alla saggezza del guerriero Ajatasatru, così il Buddha le superò entrambe. I sacerdoti gli appaiono come la casta arrogante che presume di possedere la Verità, quella dei guerrieri è quella della sua stessa famiglia che non esitò a lasciare allorché si accorse che lì non avrebbe trovato il senso dell’esistenza. Con la scoperta delle Quattro Nobile Verità riuscirà a indicare la via per portarsi sull’altra sponda superando il fiume in piena della sofferenza e dell’ignoranza.
Ritorniamo al re Ajatasatru.
Così si esprime, sul finire dello sloka, dei versi che stiamo leggendo, Ajatasatru:
“Il mondo va proprio alla rovescia, se un brahmano si rivolge ad uno ksatriya affinché gli spieghi il Brahman. In ogni caso io ti istruirò” v. 15
Inizialmente è proprio un esponente dei Gargya, dei brahmani, a mostrare ad Ajatasatru la sua saggezza circa la realtà ultima, il Brahman:
“Voglio parlare del Brahman” disse Gargya e il re Ajatasatru si pose in una condizione di riconoscenza tanto da esordire: “In cambio di questa parola noi ti daremo mille vacche” v. 1
Allora il brahmano comincia a dare il proprio insegnamento ad Ajatasatru. Nessuna affermazione del brahmano convince Ajatasatru: “No. Non mi parlare (così) di lui (del Brahman)”. Quello che Gargya identifica come Assoluto è in realtà una dimensione inferiore, non è certo il Brahman. vv. 2-13
Così si legge:
Gargya disse: “Quell’essere che è sta lassù nel cielo, è questi che io considero come Brahman”. E Ajatasatru gli rispose: “No. Non mi parlare di lui. Egli è il sovrano, è il capo di tutti gli esseri, il re. È così che io lo considero”. Colui il quale così lo considera è sovrano, è il capo, è il re di tutte le creature.
Allora Gargya continua identificando il Brahman con una pluralità di realtà, ma ad ogni sua affermazione Ajatasatru lo sconfessa.
“Allora Garya gli disse: “Quell’essere che è lassù, nella luna, è lui che io considero come il Brahman“. Ajatasatru rispose: “No. Non parlarmi di costui. Egli è grande, è il re Soma dal bianco vestito. È così che io lo considero”
Allora Garya gli disse: “L’essere che nel lampo, è lui che io considero come Brahman”. Ajatasatru rispose: ”No. Non parlarmi di costui. Io lo considero invero, né più né meno come un essere splendente“ e non certo come il Brahman.
Ajatasatru continua a considerare insoddisfacenti le affermazioni di Gargya circa l’Assoluto. E così continua, ad ogni affermazione di quest’ultimo. Ajatasatru è pronto a cogliere il fraintendimento che si cela in ogni identificazione.
“Quell’essere che è nello spazio, è lui che io considero come Brahman”. E la riflessione di Ajatasatru: No, non può essere questi.
“L’essere che è nel vento, è lui che io considero come Brahman”. ”No”. “Quello che è nel fuoco”, No. “Quell’essere che è nelle acque” e sempre la stessa valutazione negativa.
“E l’essere che è nei punti cardinali”. ”No”. ”Quell’essere che è fatto di ombra”. ”No”.
“È l’essere che è nel corpo, lui invero considero come il Brahman”. La risposta è sempre negativa. Ajatasatru continua a controbattere evidenziando la falsa identificazione dell’Assoluto con realtà contingenti ad esso inferiori.
Ed eccoci al passaggio saliente:
“Allora Gargya si tacque” e Ajatasatru gli chiese:”Questo è tutto?”. Gargya gli rispose: “E’ tutto!” Allora Ajatasatru replicò: “Se le cose stanno così, in verità non se ne sa niente”. Gargya allora gli disse: “Accettami come discepolo”. v. 14
Con umiltà, senza arroganza, il brahmano accetta di farsi lui stesso discepolo di uno kshatria.
Qui vi sono interessanti paralleli con la vita di Giobbe, come viene presentata nella Bibbia. Per questo si veda nota (2)
Ajatasatru, nel suo insegnamento, fa notare come ogni nostra conoscenza è apparenza, come un’immagine che appare nel sogno:
“Allorché l’addormentato si muove in sogno, egli è sempre nel dominio di questo essere. Egli diviene un grande re, oppure un grande sacerdote; egli sperimenta condizioni di vita alte e umili. Con un grande re, avendo un seguito di sudditi, costui si immagina di muoversi a piacimento nel suo regno“. v. 18
Ed ecco l’insegnamento profondo dello Kshatriya Ajatasatru:
“Ovunque, quando si giace nel sonno profondo e non si ha più coscienza di alcune cosa, le 72.000 correnti sottili (nadi) si dirigono dal cuore verso il pericardio. Scorrendo fuori da codeste vene tale essere riposa nel pericardio (3), …. nella pienezza della sua beatitudine”
Come un ragno sale per il suo filo, come le piccole faville montano dal fuoco, egualmente da questo atman escono tutti i sensi, tutti mondi, tutti gli Dei e tutti gli esseri. La conoscenza dell’atman è pertanto il reale del reale: i sensi sono il reale, l’atman è la loro realtà“. vv. 19-20
Il Brahman è l’Atman, l’Assoluto è lo Spirito Universale celato in noi stessi.
Note:
(1) Ajātaśātru (“privo di nemici”) fu Re del Magadha (odierno Bihar centrale) e contemporaneo del Buddha. Salì al trono intorno al 500 a. C. mettendo a morte il padre Bimbisāra. Fu dapprima nemico e poi devoto sostenitore del Buddha e della sua comunità. A lui si deve l’ascesa del Magadha (a sud del Gange, capitale Rajagrha = Pataliputra ora Patna) a massima potenza dell’India nord-orientale.
Su Gargya non si può dire molto al di là di quello che ci dice nel testo. Sappiamo che è un brahmano e che ricevette istruzioni sul Brahman da Ajatasatru, della casta dei guerrieri, allorchè si rese conto dell’aspetto insoddisfacente delle proprie conoscenze. Ajatasatru non nega tout court gli insegnamenti di Gargya; li accetta, nega solo la pretesa da parte sua di voler rappresentare con essi la verità ultima e dà loro il loro vero carattere, li mette al posto giusto e li conduce, attraverso la riflessione e il dialogo con Gargya, alla loro realtà ultima.
(2) Questo atteggiamento di “resa” non può che ricondurci all’analoga esperienza di Giobbe nella Bibbia. Anche lui giunge alla stessa conclusione di Gargya. I percorsi sono differenti. Gargya come si è visto si arroga il diritto, in quanto brahmano, di conoscere e poter parlare dell’Assoluto, ma il suo sapere è privo di sostanza, non coglie la risonanza dell’atman. Giobbe è un uomo di sincera e profonda fede ed è convinto che in virtù delle sue azioni egli sia giustificato agli occhi di Dio. ma sperimenta la delusione in un Dio che ha lodato con preghiere ed olocausti e che ora lo lascia nella sofferenza. Giobbe non si dà ragione e si chiede dove sia andata la giustizia divina e si lascia andare ad una serie di accuse rivolte a Dio. Alchè il Signore si rivolse a Giobbe dicendo:
“Chi è costui che oscura il mio consiglio con parole insipienti? Cingiti i fianchi come un prode, io ti interrogherò e tu mi istruirai. Dove eri tu quando io ponevo le fondamenta della terra? Dillo, se hai tanta intelligenza! Chi ha fissato le sue dimensioni, se tu lo sai, o chi ha steso su di essa la misura?” e così di seguito.
Giobbe si rende conto di aver parlato di un Dio che non conosce e il suo atteggiamento cambia, come in Gargya:
Allora Giobbe rispose al Signore e disse: Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa è impossibile per te. Chi è colui che senza avere scienza, può oscurare il tuo consiglio? Ho esposto dunque senza discernimento cose troppo superiori a me, che io non comprendo. “Ascoltami e io ti parlerò, io ti interrogherò e tu istruisci“. Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono. Perciò mi ricredo e ne provo pentimento sopra polvere e cenere. Vedi Giobbe 38 e 42
(3) La medicina definisci il pericardio come un organo membranoso che, come un sacco, riveste il cuore e il tratto iniziale dei grossi vasi sanguigni. Questi versi 19-20 cogliendoli con l’intuizione appaiono come una “alchimia” profonda che solo i maestri sanno disvelare. Questa relazione tra nadi, cuore e pericardio, nonchè la relazione tra questi tre e l’atman inducono la mente al silenzio. Qualora l’arroganza della mente (…almeno della nostra!) volesse darsene una ragione, ci si potrebbe muovere in questo senso. L’immagine di questi versi ci inducono a pensare che così come il pericardio avvolge il cuore e i vasi sanguigni proprio nel loro tornare al cuore, così il pericardio stesso avvolge le 72000 nadi nella loro prossimità alla fonte, al cuore. Da un altro punto di vista è proprio dal pericardio, simile ad un fuoco (v.20), che si diffondono, passando per il cuore, le nadi, simili a scintille. Da una prima lettura sembra che l’energia vitale del cuore, dell’atman sia raccolta in qualcosa di ancor più profondo del cuore, cioè nel tessuto che lo avvolge, il pericardio. Da queste riflessioni si potrebbe alludere quindi ad una passaggio di questo genere. Allorchè mi addormento: nadi>cuore>pericardio, allorchè mi sveglio: pericadio>cuore>nadi. Sembra quindi che il pericardio sia la dimora delle 72000 nadi, allorchè l’atman riposi nel cuore. Il sangha rimane in attesa di una maggior chiarificazione a proposito…grazie!
a cura di Rodolfo Savini