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Il sentiero: metodo e saggezza – di Aurora Maggio n° 3

Le quattro Verità dei Nobili, sofferenza, origine, sentiero e cessazione, furono il primo insegnamento di budda Sakyamuni a Sarnath, nel parco dei cervi, esse sono la traccia, il trampolino da cui partire per il viaggio verso la realizzazione della Realtà.

Una volta accertato che gli eventi come nascita, esistenza, vecchiaia e morte sono pervasi da diversi tipi di sofferenza, che sono aspetti di una realtà impermanente,  in cui nulla è casuale perché vige la legge della causa/effetto, che l’effetto è necessariamente coerente con le sue cause e condizioni, allora cerchiamo le cause, le origini della sofferenza, le loro dinamiche e come intervenire. Gli insegnamenti vanno compresi, la fede non basta, i maestri raccomandano di vagliarli attentamente, analogamente ad un orafo che accerta che l’oro sia vero.

Bisogna capire come funziona la nostra percezione della realtà, per questo lo studio del dharma esamina attentamente la mente e le sue funzioni e interrelazioni .

Budda Sakyamuni insegnò in varie occasioni, secondo gli interessi e le capacità dei suoi ascoltatori, i suoi insegnamenti sono stati realizzati e tramandati, si sono sviluppate svariate scuole, creando lignaggi differenti, adatti alle attitudini dei vari discepoli. Riguardo al metodo per percorrere il sentiero alcune scuole hanno accentuato lo studio della logica, del dibattito, altre le regole della disciplina monastica, altre lo studio degli elementi e dei rituali e così via, senza che l’una cosa escludesse l’altra, infatti molti hanno seguito maestri di varie scuole, integrandone le qualità. Tutte le scuole hanno comunque le stesse basi, i Sutra.

Accettata la terza Verità, ossia che è possibile un sentiero che porti alla realizzazione della quarta Verità, la cessazione del dolore, individuate le afflizioni mentali come cause fondamentali del dolore e della sofferenza in genere, accertato che oscurano la realizzazione della saggezza che vede la nuda realtà della mente così come è (la sua talità), si procede di conseguenza sviluppando metodo e saggezza.

Tramite analisi logiche, dibattiti e tanta introspezione meditativa, studiando il funzionamento della percezione sensoriale e dell’elaborazione concettuale della coscienza mentale si sciolgono i nodi che impediscono una visione chiara. La base della conoscenza è l’osservazione dei fenomeni fisici, energetici e mentali, della loro correlazione e dell’interdipendenza tra tutto l’esistente.

Siamo esseri senzienti, ossia abbiamo una mente che è l’entità che ci permette di conoscere (nelle nostre lingue occidentali possiamo usare solo i termini mente o coscienza per tradurre i vari termini dei testi che differenziano le funzioni mentali). La definizione di mente data come base nei dibattiti è: ciò che è chiaro e che conosce. In questo modo è indicata la natura di un fenomeno che non è formato da aggregati di particelle di materia, ma è caratterizzato da chiarezza e potere cognitivo, convenzionalmente possiamo anche esporlo come un contunuum di istanti.

La mente principale è come un cielo blu limpido e puro, ad essa sono però associati diversi fattori mentali, che potremmo descrivere come nuvole che increspano la serenità dello spazio. I fattori mentali possono essere associati a una sensazione piacevole, come l’amore, la compassione, la gioia ecc, oppure spiacevole perché creano sofferenza a noi e agli altri, come l’odio, la rabbia, l’ invidia, ecc, oppure sono neutri e necessari per compiere le azioni del corpo, della parola e della mente, come l’intenzione, l’attenzione, la sensazione, ecc.

Il nostro comportamento abituale non è libero, è condizionato dai fattori mentali e purtroppo da una forte familiarità proprio con quelli chiamati ‘i tre veleni’ ossia l’ignoranza , l’attaccamento e l’odio, perciò occorre domare e disciplinare la mente, purificarla dalle afflizioni, affinché sia veramente libera, chiara e cognitiva senza errore .

Ci sono testi classici come l’Abhisamayalankara di Maitreya/Asanga che descrivono minuziosamente i vari stadi in cui si eliminano le afflizioni usando gli antidoti adatti ed anche le caratteristiche differenti dei praticanti, a seconda delle loro facoltà e del loro impegno rispetto allo scopo che intendono ottenere, il nirvana per la pace personale oppure la suprema illuminazione per il beneficio degli innumerevoli esseri senzienti.  In questo secondo caso abbiamo la figura dell’allievo Bodhisattva, qualcuno che sviluppa l’intenzione di essere di beneficio per tutti gli esseri (bodhicitta, la mente dell’illuminazione) e ne fa il centro, l’impulso della propria pratica.  Il Dalai Lama spesso afferma che l’altruista è un egoista intelligente, infatti applica la legge di causa-effetto, anche se non necessariamente ha compreso gli aspetti sottili della realtà e l’interdipendenza.

Il percorso è graduale, si inizia individuando le sei afflizioni principali, ignoranza, odio, attaccamento, orgoglio, dubbio afflitto e visioni errate, esaminandole attentamente in tutte le loro sfaccettature e gradi di intensità e applicando gli antidoti appropriati. La radice della sofferenza è comunque l’ignoranza e la sua antagonista è quindi la conoscenza, applicata e conquistata passo passo, dissolvendo gradualmente l’oscurità. Alcuni maestri, come Nagarjuna, analizzarono il sentiero per l’illuminazione e posero l’accento su una questione fondamentale: va bene eliminare tutte le afflizioni (attaccamento, rabbia, orgoglio, confusione e i loro semi) ma se non si arriva ad eliminare anche la più piccola traccia di egocentrismo resta un seme di ignoranza che crea una separazione duale (soggetto percipiente ed oggetto percepito) con la pura essenza della mente e quindi non si potrà ottenere la piena e completa illuminazione di un budda.

 Il metodo del bodhisattva è riassunto mediante le sei Perfezioni: 1) generosità,2) moralità e 3) pazienza che sono incluse nell’addestramento superiore della moralità, 4) sforzo entusiastico e 5) concentrazione incluse nell’addestramento superiore della concentrazione e 6) la saggezza. Le prime cinque perfezioni sono il metodo che permette di conseguire il completo sviluppo della saggezza suprema che realizza la realtà ultima ossia la vacuità di esistenza intrinseca del sé e dei fenomeni, e la realtà convenzionale, relativa, ossia l’interdipendenza. Questo perché le prime tre permettono di ammorbidire, pacificare, rendere malleabile e ricettiva la mente, lo sforzo piacevole applica la disciplina e la perfetta concentrazione è il terreno da cui sorge la visione superiore.

Il bodhisattva deve però tenere presente che per ottenere lo stato definitivo illuminato il suo metodo non deve essere arido, ma come se fosse una pianticella lo deve innaffiare all’inizio con l’amorevole gentilezza e la compassione, deve ammorbidire il terreno nel mentre che lo percorre con la compassione e il frutto, la compassione incommensurabile, dev’essere implicita nel risultato. La compassione verso tutti gli infiniti esseri, incluso noi stessi, ha infatti un potere immenso. Non si tratta di mera empatia, ma della comprensione reale che tutti vogliamo essere felici, non desideriamo soffrire, vogliamo la gioia priva di dolore, che non c’è separazione nel gioco infinito delle forme, delle varietà, che la pura realtà è equanime, è la stessa per tutti.

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