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L’uomo in equilibrio: Prakriti, Manas, Ahamkara, Buddhi, Moksha – di Claudia Chirila n° 4

L’uomo di equilibrio: Prakriti, Buddhi, Moksa

Nella lezione del 26 maggio Rodolfo ci presenta la molteplicità di aspetti relativi alla mente nello yoga, “un’entità cui servono più termini per definirne gli aspetti”. Un argomento molto interessante e complesso che mi ha fatto volere approfondire la questione. Ho pensato però a non seguire l’esposizione esperienziale che ci ha proposto Rodolfo, ma di cercare di capire più a fondo la questione.

La Prakriti e gli elementi costitutivi di Buddhi, Ahamkara e Manas

I primi tre elementi costitutivi della Prakriti, della natura, danno forma a diversi aspetti dalla creazione, in particolare fanno riferimento a diversi aspetti delle facoltà mentali.  Infatti abbiamo una intelligenza, Buddhi, un ego, Ahamkara e una mente sensoriale, Manas. Questi tre aspetti, fino a quando non impareremo l’arte della meditazione, non potremo distinguerli tra di loro.

Secondo il Samkhya la mente è qualcosa di materiale, è osservabile come oggetto. Le percezioni sensoriali sono facili da vedere come oggetti, ma possiamo osservare anche le emozioni e i pensieri, il che significa che anche loro si trovano all’esterno del nostro vero Sé che è fatto solo di pura consapevolezza.

Prakriti

Prakriti significa “il primo potere dell’azione”, ogni manifestazione della natura in ogni suo aspetto è sua espressione. La Prakriti è chiamata da un lato l’“Immanifesto”, l’indissolubile. Qui i tre guna sono in uno stato dormiente, di latente equilibrio, ma allorchè questo equilibrio viene meno a causa di un karma non risolto ecco che si manifestano dando luogo alla creazione. La pratica dello yogin è quello di ricondurli ad uno stato dormiente. Non è un percorso facile perché, prima di accorgerci di ciò che sta accadendo, i guna hanno già dato vita alla mente nelle sue diverse sfaccettature, ai sensi, agli oggetti, al “lo voglio-non lo voglio”, ai gusti, alle abitudini. Da Signore della natura, la nostra mente ne è divenuta serva. Con i guna riprendono forza i samskara, il karma si fa più impuro, i vasana da lontano si fanno minacciosi e pronti ad ogni sortita. Si ricostituisce il mondo del divenire, la realtà quotidiana, il ‘regno’ della prakriti.

Con la pratica meditativa la coscienza potrebbe rendersi conto di che cosa stia accadendo e allora potrebbe svegliarsi e cominciare ad interrogarsi sul senso delle sue scelte. Potrebbe prendere la determinazione di voler cambiare rotta, di voler risalire la corrente del divenire. Inizia a percorre lo stesso cammino ma a la rovescia. Si interroga sulla fragilità degli oggetti dei sensi, sulla labilità dei sensi stessi. E così pure su quella capacità di coordinare le diverse funzioni sensoriali, sulla attitudine che ha la mente a proteggersi, elevando muraglie, o ad aggredire, distruggendo quelle altrui. Fino via via a purificare la mente dagli aspetti evolutivi, piacevole o spiacevoli che siano, della prakriti. A questo punto il salto. La buddhi, proprio allorchè i guna si fanno tersi e trasparenti, riconosce in sé il purusha, il Sé lucente, Testimone immobile del divenire. Il Sé grande velato dalle illusioni del sé piccolo.

 

Citta indica la mente nella sua complessità. Diverso ne è il significato passando da una tradizione ad un’altra. Nello yoga indica l’attività distrattiva della mente, nel buddhismo assume l’aspetto di una ‘mente luminosa’, per esempio il termini Bodhicitta, indica la mente che decide di seguire la via di una saggezza altruistica, che prende la “determinazione” a farlo.  Attenendoci allo yoga possiamo distinguervi a grandi linee tre categorie:

a) la mente (MANAS) individuale connesso direttamente alle impressioni sensoriali, con il potere e la facoltà di coordinare tra loro le sensazioni cosicché si abbia una percezione complessiva (p.es. vedo un frutto, lo tocco, lo annuso: mi faccio una idea sulla qualità del frutto, poi decido di mangiarlo o meno, eccoci all’Ahamkara!);

b) l’ego (AHAMKARA), letteralmente l’io-che-fa”, che agisce in vista della conservazione di un sé egoistico, in base alle sensazioni-percezioni che gli fornisce il manas;

c) l’intelligenza o ragione (BUDDHI), è l’intelligenza che può passivamente adeguarsi ai sensi, scivolando verso l’Ahamkara o attivamente risvegliare la capacità di discriminare, di scegliere e assumere comportamenti funzionali alla crescita interiore.

Manas /Mente esterna

Quando guarda verso l’esterno l’ego attiva una mente sensoriale, manas, che come un sesto senso, permette di coordinare gli altri sensi, è come la centralina di comando dei sensi. Non è una centralina neutra, manas, nell’assolvere a tale funzione viene via via ‘colorata’ dalle singole propensione dei sensi e naturalmente dal karma.

Ahamkara e Asmita

Ahamkara significa letteralmente “fabbricazione dell’io”, perché l’ego è un processo e non una realtà intrinseca.

L’ego crea la mente e i sensi – questo secondo la filosofia Samkhya  – gli strumenti che permettono all’individuo di operare, perché l’ego è l’aspetto della mente rivolto all’esterno, mentre buddhi o intelligenza è l’aspetto interno. Comunque sia la buddhi rimane sotto il dominio dell’ego fino a quando non impariamo a meditare. La cecità e l’attaccamento causati dall’ego sono la causa principale di squilibri spirituali, mentali e fisici

Buddhi

Rodolfo a questo incontro ha solo fatto riferimento al ruolo della buddhi. “Qui avviene, come ho detto, un capovolgimento per eccellenza. Se la creazione è uno sviluppo della prakriti dall’immanifesto verso il manifesto. Il processo di liberazione si muove in senso opposto, risalendo dal divenire verso la sua origine, la nostalgia della pace e della luce, in primo luogo della buddhi”. Qui può avvenire – la pratica è sempre essenziale – che la lucentezza della buddhi sia tale da riconoscere il purusha, il Sé che è nel sé, il Testimone immobile che la buddhi riconosce in virtù della lunga e tormentata ascesa dalle profondità dell’avidya, dell’ignoranza in virtù di karma purificato da azioni via via più pure, dal kushala karma. Siamo alle porte della moksha, della liberazione, della liberazione dalle onde irrequiete della prakriti, l’affacciarsi alla luminosa pace del pususha. Siamo alle porte della Moksha, della liberazione, dell’immersione nella libertà del Purusha, nell’elevazione alla luce di alta, al Testimone che osserva, immobile, i fiumi del divenire.

 Lo Yoga è il metodo con cui viene calmata la mente inquieta e l’energia vitale è diretta in canali costruttivi. Il problema del controllo della mente non è di facile soluzione, come risulta dal seguente dialogo del sesto capitolo della Bhagavad Gītā. Arjuna chiede a Śri Krishna:

<<Krishna, tu mi hai descritto lo Yoga come una comunione con Brahman (lo Spirito Universale), che è sempre uno. Ma come può esserci unione continua, dato che la mente è così inquieta e inconsistente? Essa è impetuosa e testarda, forte e caparbia, difficile da soggiogare, come il vento>>

Śri Krishna risponde: << Senza dubbio, la mente è inquieta e difficile da controllare, ma può essere allenata con una pratica costante e con la liberazione del desiderio. Colui che non può controllare la propria mente troverà difficile raggiungere questa comunione divina, ma colui che ha padronanza di sé può raggiungerla se proverà con determinazione e se dirigerà la propria energia con i mezzi idonei>>.

Lo Yoga non vuole farci smettere di discernere ma lo scopo dello Yoga è produrre nel tempo una condizione di quiete e stabilità in cui la mente non avverte più il bisogno di agitarsi. Questo le consente di sviluppare le proprie potenzialità, si apre a una maggiore capacità di visione e di comprensione. Come per esempio l’acqua del mare, se il mare è agitato la sabbia viene a mischiarsi con essa, l’acqua è torbida, non è chiara e non si vede niente nella sua trasparenza. Invece se l’acqua è quieta, le particelle di sabbia lentamente si depositano, l’acqua diventa trasparente e tutto diventa più chiaro. Lo stesso vale per la nostra mente, i pensieri che continuamente si agitano non consente di ragionare con serenità e di vedere le situazioni con chiarezza.

Quando si inizia a sperimentare la meditazione si nota lo stato di costante agitazione della mente. Le prime volte è quasi impossibile rimanere concentrati sull’oggetto della meditazione perché la mente tende a saltare da un pensiero all’altro. Io per esempio tendo a pensare alle faccende che mi attendono o quello che ho o non ho fatto. Siamo sempre proiettati altrove, è veramente difficile esserci qui ed ora.

Lo Yoga diventa quindi una preziosa esperienza formativa. La sua complessità ci aiuta non solo attraverso i sensi fisici ma soprattutto attraverso particolari percezioni di elevare la consapevolezza in ciò che viviamo.

 

Namasté!

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