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Addomesticare l’Elefante di Aurora Maggio

LA MEDITAZIONE COME MEZZO PER LA LIBERAZIONE E IL RISVEGLIO ALLO STATO DI BUDDHA

Dagli insegnamenti di GHESCE CIAMPA GHIATSO, masters program 1999 Istituto Lama Tzong Khapa Pomaia

Nel continuo fluire delle nostre esistenze ci esprimiamo mediante tre tipi di azioni, compiute mediante il corpo, la parola/energia e la mente.

Chi desidera percorrere un sentiero di crescita, sia verso la liberazione dalla sofferenza che pervade la dimensione samsarica, sia per ottenere il pieno risveglio di un buddha, è bene che abbia cura del corpo e lo mantenga sano, che curi la parola e la mantenga pura, infine che abbia una mente efficiente non confusa.

I tre addestramenti principali di un allievo sono l’etica, la concentrazione e la saggezza.  L’etica è necessaria per non creare nuovo karma negativo e purificare quello passato, per creare merito ed energia positiva, capire l’interdipendenza di corpo, parola e mente nonché l’interconnessione con tutti i fenomeni esistenti.

Tuttavia, in sintesi, l’impegno principale è rivolto allo sviluppo e all’acquisizione del controllo della propria mente, perché cercando le cause remote, le radici della sofferenza, le troviamo nelle afflizioni mentali che oscurano la natura chiara e luminosa della mente. La definizione di mente usata nei testi è: ciò che è chiaro, luminoso (natura) e che conosce (funzione).

La mente principale è così, tuttavia la nostra percezione ed esperienza sono oscurate e turbate dai fattori mentali negativi, l’ignoranza, l’attaccamento e la rabbia, così come la superficie calma di un oceano è mossa dalle perturbazioni create dai venti.

Per avere una visione della realtà non inquinata e un controllo delle potenzialità infinite della nostra mente, con una conseguente elasticità mentale e fisica, lo strumento principale è la meditazione. Meditazione= gom (tibetano) che significa familiarizzare. Ci sono due metodi fondamentali per ottenere il pieno sviluppo e il controllo della mente: la concentrazione univoca, fino ad ottenere uno stato chiamato calmo dimorare, (Tib. Shiné, sanscr. shamata) e la visione superiore o visione profonda (lhagton, vipassana).

Il disegno illustra in modo estremamente particolareggiato i nove stadi dell’addestramento mentale nel calmo dimorare e l’inizio del percorso di unificazione di shamata e vipassana, con una semplice simbologia.

Prima di tutto occorre la forza dell’ascolto del Dharma e delle istruzioni. Quindi si decide l’oggetto su cui concentrarsi in modo univoco (es: il respiro, la mente, un’immagine mentale).

1) PORRE LA MENTE SULL’OGGETTO DI CONCENTRAZIONE

La mente si ferma sull’oggetto solo pochissimi istanti e poi si distrae, ma ci riproviamo ancora e ancora

L’elefante selvaggio rappresenta la mente indisciplinata, il colore scuro indica il fattore mentale torpore, la scimmia rappresenta la distrazione, il suo colore nero denota la presenza del fattore mentale eccitazione. Perché l’elefante? Si tratta di un animale molto potente, pericolosissimo per i danni che può arrecare quando è selvaggio, ma docile e servizievole una volta domato.

Fino alla terza curva sono rappresentati i simboli degli oggetti dei 5 sensi (stoffa, frutti, cimbali, conchiglia colma di profumo e specchio), che distraggono ed eccitano la mente durante la meditazione. Vediamo anche delle fiamme che decrescono man mano che si sale, fino al settimo stadio, esse indicano la misura dello sforzo da applicare.

Il meditatore insegue l’elefante. In una mano tiene una corda, simbolo del fattore mentale consapevolezza/memoria, con cui deve tener legata la mente al suo oggetto di concentrazione, mentre nell’altra mano ha un pungolo, simbolo del fattore mentale vigilanza o introspezione con cui riporta in carreggiata la mente distratta da torpore o eccitazione.

Lungo la strada abbiamo un albero con sopra una scimmia bianca, ciò indica la distrazione da parte di oggetti mentali virtuosi (ad es. amore o compassione), essi sono causa del divagare dal nostro oggetto e quindi non sono opportuni in questo caso.

2)PORRE DI CONTINUO

Possiamo restare concentrati 15/20 secondi di seguito, si sente già un minimo di serenità mentale, indicata dal colore chiaro che compare nell’elefante e nella scimmia

3) PORRE DI NUOVO

Il meditatore ha raggiunto l’elefante, ha lanciato la corda/consapevolezza-memoria e l’elefante volge il capo verso di lui. Il colore bianco è maggiore. Quindi la mente è ancora molto distratta, ma ne è consapevole ed è in grado di tornare velocemente al suo oggetto di concentrazione, su cui riesce a restare per pochi minuti. Appare un coniglio sulla schiena dell’elefante, perché indica il torpore o sprofondamento mentale evidente in questo stadio, ossia la carenza di vitalità, più o meno grossolana o sottile, nella concentrazione, perché lo sforzo per trattenere la mente sull’oggetto è minore, ma si rischia di non impegnarsi nella chiarezza

4) PORRE RAVVICINATO

Ora non serve più molto sforzo per mantenere la consapevolezza dell’oggetto, serve però sempre la vigilanza (lui/lei usa il pungolo) come antidoto alla distrazione e al torpore sottili. In particolare non si perde più facilmente l’oggetto per via della distrazione, ma si rischia ancora di non accorgersi del torpore sottile (la lepre), ossia quando la mente è lassa, non è precisa ed acuta

5) DISCIPLINARE

Il colore bianco aumenta e la scimmia sta dietro l‘elefante. Il controllo su torpore ed eccitazione è piuttosto buono.

6) PACIFICARE

Le fiamme, simbolo dello sforzo, sono abbandonate, l’energia è molto forte, l’elefante segue docilmente

7) PACIFICARE COMPLETAMENTE

Il colore scuro è quasi scomparso. Chiarezza ed energia mentale sono molto forti ed anche la pace e la felicità.

8) RENDERE UNIVOCO

Grazie alla perseveranza, la scimmia è congedata e l’elefante è tutto bianco, ossia gli ostacoli nel flusso di coscienza sono stati eliminati. L’impegno nella meditazione è naturale e spontaneo

9) PORRE EQUANIME

L’elefante giace felice accanto al suo addestratore. Anche quel minimo di sforzo iniziale dello stadio precedente, all’inizio della seduta di meditazione, è abbandonato. La persona può meditare senza intervallo per il tempo che desidera, senza alcun disturbo, neppure esterno. A questo punto si ottengono una straordinaria flessibilità fisica e mentale, chiarezza e beatitudine, indicati dalla leggerezza dell’uomo in alto.

VISIONE PROFONDA (sanscr.VIPASSANA tib.LHAgTON) E così nell’acqua pura e calma di shiné nuotano dolcemente i pesciolini del pensiero discriminante

In cima abbiamo una persona a cavallo dell’elefante, che indica l’ottenimento della concentrazione univoca o calma dimorante, che fronteggia un meditatore con una spada sollevata. La spada simboleggia il potere discriminante, strumento dell’addestramento per la visione profonda. Il prossimo ottenimento sarà quindi la loro unificazione. L’ultimo particolare sono le due direzioni in cui il sentiero si divide:

1)     un sentiero mondano, che produrrà esperienza di felicità e gioia, anche a lungo, ma temporanea, perché le manifestazioni delle afflizioni sono state soppresse ma i loro semi non sono estinti

2)     un sentiero sovra mondano, che produrrà la liberazione completa dalle afflizioni e quindi dall’esistenza ciclica. La spada è pronta così a tagliare gli ostacoli alla liberazione e all’onniscienza che fuoriescono dal cuore del meditatore, ad indicare che la pratica è sviluppata all’interno del nostro continuum mentale. Dietro ricompaiono le nuove fiamme dell’impegno.

Con l‘ottenimento di shamata abbiamo ottenuto uno strumento di alta precisione, necessario per sviluppare l’effettiva vipassana, la visione profonda. Prima abbiamo usato la meditazione concentrativa, ora vi associamo la meditazione analitica. L’oggetto della meditazione può essere lo stesso, cambia il modo di meditare. Durante l’addestramento le due modalità saranno alternate, fin quando si fonderanno e il meditatore sperimenterà una gioia estatica e una chiarezza ancora superiori a quelle sperimentate prima, con l’ottenimento di shamata.

Lo scopo ultimo però non è il benessere temporaneo, ma eliminare tutte le forme delle varie afflizioni mentali e tagliare la loro radice, ossia l’ignoranza che concepisce un io e un mio come veramente esistenti. Quindi concentrarsi sulle sensazioni o su alcuni punti del corpo non sarà utile a tale scopo, ma occorrerà esplorare la natura ultima della realtà: la vacuità di esistenza intrinseca dei fenomeni.
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