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Buddhismo e Bhagavad Gita, convergenze sulla linea di Zaehner

Ci sono certi termini buddhisti che hanno una loro originalità e risonanza in altre tradizioni spirituali orientali. I testi scritti sono successivi alla tradizione orale da maestro a discepolo. Tutt’ora, tra alcuni monaci buddhisti – è mia testimonianza – parte del Canone viene ricordato e memorizzato attraverso la ripetizione orale. Il canone rappresenta quindi il corpus dell’insegnamento orale trasmesso dal Buddha (566 a.C – 486 a.C.) e databile al prima verso il I sec. a.C. Molti testi ci danno l’opportunità di approfondire queste semplici considerazioni ma non è questo il mio intento.

Ciò che qui mi interessa è vedere il nesso tra il buddhismo e la Bhadavad Gita. Alcuni termini propriamente buddhisti vengono ripresi in questo testo induista. Talvolta con lo stesso significato anche se più spesso volti all’orientamento devozionale della Gita. Lo scopo è percepire la risonanza tra queste due tradizione, più che propormi un esame storico-filologico.

Ciò che vi propongo è un incontro con Robert Charles Zaehner, un grande studioso delle religioni e in particolare di induismo e buddhismo. Il testo cui faccio riferimento è la sua The Bhagavad Gita (Oxford,1969).

Mi hanno così colpito i punti che ha messo a fuoco sulla connessione Buddha-buddhismo-Bhagavad Gita che voglio condividere con voi questo argomento. Dietro a tutto questo vi è la mia personale passione per queste due tradizioni.

La principale connessione tra il Buddha, il buddhismo e la Bhagavad Gita la si trova espressa nel cap. 2.27 di quest’ultima. Qui si dice che per chi ha conseguito la liberazione “il Nirvana è identico alla realtà bramanica” o più semplicemente “il Nirvana che è il Brahman”. Il termine Nirvana è pertinente alla tradizione buddhista non lo si trova nè nei Veda, nè nelle Upanishad. L’indusmo fa propria quindi una concettualizzazione della realtà ultima avvalendosi di una terminologia buddhista. Ovviamente con il termice “Nirvana” si ingloba nella Baghavad Gita l’idea della “liberazione” dell’io, o meglio dall’ “io”, scopare ogni traccia di un ‘io-mio’ che dà solidità all’ego.  Il termine Nirvana nella BG viane volto da quella esperienza propriamente buddhista del non-io in quella di un io come parte del Brahman, come tutt’uno col Brahman, il “sè nel Sè”. Il sè-nel-Sè può delinearsi nell’intensa meditazione, nella pratica dell yoga, nel ‘distacco’ o meglio nel completo sfocarsi del mondo esterno.

Anche nella BG si trova in certi versi, come ad esempio il 6.23, l’esperienza di uno yoga come “discacc0 dalla somma delle cose che danno dolore (n.b. anche il  piacere lo è in quanto espressione dei guna (gli aggregati karmici)”. Il praticante giunge in virtù della sua stessa pratica a spegnere le suggestioni del samsara, a consegunire la liberazione. Il buddhismo vede in questa esperienza una liberazione dall’io, nella BG  questa è solo una porta verso un ‘io’ trascendente, verso il Sè. La lettura di questo passo indica un punto da cui l’io si dissolve ma, visto nel contesto della Gita, è un punto da cui l’io rinasce verso il divino.

Nello yoga, come in questo passo, la cessazione del samsara è frutto di una intensa concentrazione, di una radicale cesura dal mondo contingente, uno ”spegnimento”dell’ego. Nel Buddhismo l’io perde consistenza, il Nirvana è conseguito passando attraverso l’esperienza del non-io, la dissoluzione dell’io. Nella BG 6.20 si definisce questa condizione dicendo che in essa”il pensiero si ferma, bloccato dalla pratica dello yoga”, si aggiunge però che è la suprema gioia al disopra dei sensi e in cui, una volta presa stabile dimora, il sè non si muove dalla verità “. È la condizione in cui l’anima vede “il Sè attraverso il sè, gode del Sè”.

Qui la BG travalica la visione di uno yoga quale immobilità perché tale evento scuote nell’intimo così radicalmente il discepolo che questi dice, rivolto a dio: “non trovò più saldezza d’animo, né pace, o Visnu”. Basti pensare, guardando lontano nella Bibbia, alla figura di Giobbe che alla fine della sua critica radicale a Dio dice, rivolgendosi al Signore: “Compredo che puoi tutto (…) ho esposto senza discernimento cose troppo superiori a me, che io non comprendo (…) ti conoscevo per sentito dire (…) ora i miei occhi ti vedono e ne provo pentimento”.

La BG ci pone davanti ad una duplice via. Da un lato una via statica e passiva in cui il samsara avvolge l’io dall’ignoranza e in cui l’io si riduce a compiere azioni meramente meccaniche. Dall’altro l’io opera come un magnete che riorienta lo sviluppo dell’io stesso. Lo yoga nella BG assume l’aspetto di un processo di integrazione di tutte le proprie potenzialità in un sè purificato dalle scorie del karma. Qui il sè viene riassorbito nell’unità del Sè. Mentre nello yoga il sè si dissolve nel Sè quale pura luce, nella BG il sè si trova al cospetto di Dio, di Krishna: “Abbi la mente a me fissa; a me sii devoto; a me sacrificando rendi onore; e dopo esserti imposto la disciplina dello spirito a me verrai, in me avendo l’estremo rifugio“ BG IX,34

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