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Trimle gen – mar 2001 n° 1 Anno III

Tan Ajahn Anek alla Pagoda

Evam me sutam (i discorsi del Buddha).

Pagoda “News”

Incontro interreligioso a Contra (Rodolfo Savini)

Lettera aperta di Gemma Donati

Tan Ajahn Anek alla Pagoda 

 

discorso di domenica 8 ottobre

tenuto alla Pagoda di Pieve a Socana  (traduzione di Luigi Butori, adattamento al testo di Massimiliano Foglini)

Sono veramente lieto di essere venuto qui a trovare i miei fratelli Buddhisti o Cristiani: non faccio nessuna distinzione tra loro. E’ la prima volta nella mia vita che vengo in questo posto e sono molto contento di vedervi, mi spiace solo di una cosa, che non sono capace di parlare in italiano. Questo perché ho sbagliato il posto nel quale nascere, sono nato in Tailandia, è per questo che non riesco a parlare italiano. La prossima volta che nasco nascerò in Italia, così sarò più vicino a voi.

Il tempo che stiamo insieme è un periodo molto importante per la vita di ognuno di noi, per ricercare e vedere il significato e la bellezza della propria vita. E la prima cosa che voglio farvi sapere, è la stima che ho per voi e la felicità che provo ad incontrarvi. Sono venuto per accrescere la vostra speranza, ed anche se non parlo l’italiano sappiate che la lingua del mio cuore è l’amore e la compassione, ed è questo che voglio offrire ad ognuno di voi in questa speciale occasione. Oggi, vorrei darvi qualcosa che possa restare dentro di voi, che possa portarvi alla Verità e alla Conoscenza, perché quello che possiamo capire e comprendere dal nostro cuore ha un valore immenso per ogni vita.

Ognuno di noi dovrebbe pensare che non c’è nessuna differenza tra lui e gli altri, ma che è riunito qui solo per dare il bene che ha dentro di sé a tutti gli altri. Il bene che dobbiamo far nascere dentro di noi e tra di noi è una cosa molto importante. Questo bene è già dentro di noi ma magari non è sufficente, non è all’altezza di quello che noi desideriamo sia, non arriva a quella pienezza che sentiamo dovrebbe esserci nella nostra vita. Il bene ha un grandissimo valore ed è possibile per noi praticarlo in ogni luogo di questa terra.

Il bene deve essere trovato dentro di noi, non fuori; se siamo delle persone che non hanno bene, che mancano di questo bene, è come se non avessimo quel qualcosa che ci permette di essere dei veri esseri umani. E noi non possiamo negare questo bene, non possiamo negare che esista. Il bene o il piacere che cerchiamo fuori di noi è soltanto un qualcosa che ci può permettere di avere una vita più agiata, ma quello che possiamo mettere in relazione alla soddisfazione che troviamo fuori dev’essere un qualcosa che nasce dentro di noi, che è già dentro noi.

Per distaccarci da tutti gli estremi dobbiamo mettere il nostro cuore sulla ‘Via di Mezzo’, senza attaccarci alla lingua, alla religione, alla nostra nazione, ma tenendo una via di mezzo per tutto. Se vogliamo trovare il punto esatto nel quale nasce tutto il bene, dobbiamo ritornare dentro noi, dentro il nostro cuore. Ma per vedere il bene che c’è all’interno di noi, il nostro cuore deve essere fresco, pieno di pace, perciò adesso, io vi dirò la maniera per poter arrivare alla fonte del bene, quella che noi chiamiamo ‘Perfetta Pace’.

Che ognuno di voi sia ben deciso, abbia una retta decisione, proprio in questo attimo presente. Cerchiamo di arrivare a vedere il nostro spirito, il nostro cuore; in questo momento possiamo anche vedere tutto quello che ci è accaduto: le varie cose che sono ancora attaccate a questo cuore. Osserviamole un attimo.

Ora che abbiamo visto quello che ci è accaduto, cosa è attaccato, lasciamolo andare via, buttiamolo via. Che sia una cosa buona o una cosa cattiva, buttiamo tutto via. Facendo questo, permettiamo al nostro cuore di diventare leggero, di distaccarsi da tutto e farsi leggerissimo.

Vedere il nostro cuore, conoscerlo bene, comprendere il nostro spirito proprio in questo momento, è come pulirlo, ripulirlo da tutto lasciandolo galleggiare libero. Lasciamolo andare. Se non lo ripuliamo, non lo lasciamo libero di andare, dentro di noi si creerà molta confusione e ci attaccheremo ai vari problemi e alle ragioni dalle quali sono nati. Questi problemi, saranno così i problemi del nostro cuore, saranno i problemi che lo terranno chiuso, fermo, imprigionato. Ma una volta che abbiamo visto queste cose, che abbiamo scoperto tutto questo, dobbiamo metterci a ripulire il cuore, a svegliarlo, a lasciare andare le cose, a risvegliarci in questo attimo e sentire la pace, la distensione, l’armonia di essere in questo stato di libertà.

Il ripulirlo, il distaccarlo e liberarlo dai nostri attaccamenti, dai nostri sentimenti è una grande cosa per lo spirito, una cosa importantissima. E’ come se noi ad un certo momento smettessimo di buttare benzina sul fuoco, smettessimo di attizzarlo e ci allontanassimo lasciando il fuoco piano piano spegnersi. Se noi vogliamo arrivare a non provare più quel dolore che si prova prendendo il fuoco nella mano, dobbiamo lasciarlo stare e andare verso la pace, verso la frescura, lontani dal fuoco; fuoco che rappresenta tutti i nostri desideri.

Svegliamo il nostro animo, il nostro cuore e restiamo tranquilli, tranquillissimi in questo attimo. Quello che nasce, lasciamolo anche andare via, lasciamolo stare, distacchiamocene lasciando venir su solamente la pace. Quando nel nostro cuore sentiamo nascere la pace, stiamo con questa pace, con questa serenità, stiamo in questo stato. Questa serenità che troviamo dentro di noi andrà a cercare da se stessa la pace profonda, e quando il nostro cuore sarà arrivato alla pace smetterà di farsi domande, di cercare la confusione. Questo significa far dimorare il nostro animo nella meditazione profonda.

Chiedo a voi, miei fratelli e sorelle che magari non avete mai provato questo stato, di provare a cercarlo. E a chi lo fa da poco cerchi sempre più di provare a ricercare questa pace, questa serenità dentro di sé. Come se fossimo affamati e andassimo a cercare cibo, ecco nella stessa maniera siamo affamati dentro e cerchiamo questa pace infinita, questa serenità infinita che c’è dentro di noi. Se siamo affamati e mangiamo poco, non sentiamo la sazietà, proprio come se noi abbiamo poca pace dentro non siamo felici, perciò, come il corpo per essere felice deve mangiare a sufficenza, per essere felici dentro, nel nostro animo dobbiamo ricercare questa pace e il nostro spirito sarà sazio e non avremo dolore. E questo non aver dolore nel nostro cuore è una vita piena di valore, una vita ricchissima in sé, e questa felicità che noi incontriamo nel praticare la meditazione è una felicità grandissima. Cerchiamo di vivere bene questo attimo.

Adesso smetterò di parlare e starò in silenzio insieme a tutti voi. Ecco questo è un momento propizio, entriamo nel nostro cuore, inchiniamoci, entriamo nel profondo del nostro animo, del nostro cuore e facciamo nascere questa serenità, questa leggerezza. Lasciate tutto, staccatevi da tutto quello che vi si attacca: questa è la strada per arrivare alla vera felicità. Ecco, vi chiedo di fare tutto questo, da questo momento in poi

 

EVAM ME SUTTA

(I discorsi del Buddha)

 

Sutra sugli Otto Risvegli dei Grandi

(a cura di Yo Ung)

Per tutti i discepoli del Buddha

perché sempre, giorno e notte

con mente perfetta recitino e meditino

gli Otto Risvegli dei Grandi.

 

Primo risveglio.

Il mondo è impermanente, le nazioni fragili e precarie.

I quattro elementi sono (caratterizzati da) sofferenza e vacuità, i cinque skandha sono privi di esistenza intrinseca.

(Tutto è soggetto a) nascita, cessazione e mutamento, è falso ed instabile.

La mente è la sorgente del male, il corpo la palude del peccato.

Osservando ed analizzando le cose in questo modo si diviene gradualmente liberi dal samsara.

Secondo risveglio.

Molti desideri causano sofferenza.

Il travaglio del samsara

sorge dall’avidità e dal desiderio.

Avendo pochi desideri e non agendo condizionatamente,

corpo e mente sono liberi.

Terzo risveglio.

La mente è insaziabile, cerca sempre di più.

I Bodhisattva non sono così, sempre ricordano (la gioia di sapersi) accontentare.

Nella quiete e nella semplicità proteggono la Via,

hanno solo la saggezza come azione.

Quarto risveglio.

La negligenza conduce a cadere in cattive strade.

Praticate con zelo,

in modo da trasformare il male delle contaminazioni,

distruggere ed abbattere i quattro demoni (asura, il demone della morte, il demone delle contaminazioni, il demone dei cinque skandha)

ed abbandonare la prigione dei cinque aggregati e dei tre mondi.

Quinto risveglio.

L’esistenza samsarica (è causata) dall’ignoranza.

I Bodhisattva ricordano sempre,

di studiare in profondità, ascoltare molto,

accrescere la saggezza.

Realizzano l’abilità (inostacolata di discutere del Dharma).

Insegnano a tutti gli esseri e li trasformano

conducendoli ad una grande gioia.

Sesto risveglio.

Le sofferenze della povertà creano molti rancori,

determinando cattive cause senza sosta.

La carità del Bodhisattva

considera ugualmente il nemico e l’amico,

non ricorda il male passato,

non odia gli uomini malvagi.

Settimo risveglio.

I cinque desideri portano disastri.

Pur essendo laici, non siate contaminati dai piaceri del mondo.

Meditate sempre (sui monaci che possiedono solo) tre abiti e una ciotola, strumenti della dottrina.

Pronunciano con determinazione il voto di farsi monaci,

proteggono la Via (mantenendo i precetti e divenendo così) limpidi.

Una pura condotta conduce in alto e lontano

e la compassione è rivolta a tutti.

Ottavo risveglio.

Il fuoco di vita e morte brucia vigorosamente

e sofferenza ed ansietà sono innumerevoli.

Originate la mente del Mahayana

per aiutare universalmente tutti gli esseri.

Fate voto di sopportare innumerevoli sofferenze in luogo di tutti gli esseri senzienti,

in modo da condurre tutti gli esseri senzienti a realizzare infine la grande felicità.

Sono questi gli otto risvegli realizzati da tutti i Buddha ed i Bodhisattva Mahasattva, che hanno praticato con solerzia la Via e coltivato la saggezza con compassione. Essi sono montati sul vascello del Dharmakaya per giungere alla sponda del nirvana. Hanno tuttavia fatto voto di salvare dal samsara gli esseri senzienti. Mediante i precedenti otto risvegli hanno guidato tutti, conducendo tutti gli esseri senzienti a realizzare la sofferenza del samsara, ad abbandonare i cinque desideri ed a coltivare la mente (per realizzare) la santa Via. Se i discepoli del Buddha recitano questi otto risvegli e meditano su di essi, innumerevoli peccati si dissolvono, si avanza verso la bodhi e presto si ascende alla retta illuminazione. Si tronca definitivamente il samsara e si dimora sempre nella gioia

Le origini del Sutra (da Thich Nhat Hanh)

Questo sutra fu tradotto dal pali al cinese dal monaco persiano An Shin Kao (ignoto il nome originale) al centro di Lao Yang in Cina durante la fine della dinastia Han (140-171 d.C.) Non è certo se la versione pali sia ancora esistente. L’antica forma di questo sutra è l’insieme di molti lavori più piccoli combinati, esattamente il Sutra delle Quarantadue sezioni ed il Sutra delle Sei Paramita. Questo sutra è totalmente in accordo sia con la tradizione Mahayana che con la tradizione Theravada.

Ognuno degli otto punti discussi può essere soggetto di meditazione ed ognuno di essi può essere ulteriormente suddiviso. Benché la forma del sutra sia semplice, il suo contenuto è estremamente profondo e meraviglioso. Il Sutra degli Otto Risvegli dei Grandi non è un trattato analitico. E’ un approccio realistico ed effettivo alla meditazione.

 Incontro Interreligioso a Contra
(Rodolfo Savini)

 Dalla meditazione personale scaturisce una domanda che non ha parole che la esprimono, un impulso radicale a incontrarsi con la Verità e la Giustizia e se questa esperienza è benedetta e sacra allorché coinvolge l’individualità di ognuno di noi, acquista indubbiamente una risonanza che non ha eguali quando vi riecheggia quel ‘noi’ che risuona nella Comunità. Che cosa avviene se questa Comunità si apre ed abbraccia religioni diverse? Certo si notano, sui giornali anche ai nostri giorni, le divergenze che dividono le religioni. Sentiamo ripetere anche oggi che Islam e Cristianesimo sono cammini teologicamente differenti, e che se ne dice del Buddhismo? Ma l’incontro interreligioso apre una dimensione del tutto diversa. Non sono dottrine che riconoscono la loro alterità; sono uomini, esseri umani, che condividono una comune esperienza che può anche trovare echi differenti allorché la vogliamo esprimere.  

A Contra, in Casentino, è accaduto qualcosa di simile. Il reciproco rispetto, l’amicizia spirituale, l’amore per la Vita hanno trovato l’ambiente in cui potersi guardare nelle proprie differenze, ritrovandovi quella medicina che è capace di ‘vedere oltre’ ciò che distingue. È bene che non si sappia troppo in giro, è bene che i giornali diano eco ai conflitti e alle opposizioni, perché non saprebbero che cosa dire di questa esperienza casentinese. La sua ricchezza non può essere formulata, non si tratta di trovare differenze o analogie dottrinali, neanche di dar vita a una ‘nuova’ religione, al cui cospetto ognuno insorgerebbe per riaffermare la propria identità. Dare la possibilità che la parola spirituale che accende il mio animo possa essere offerta come dono, che nell’abito sacro di ognuno si scopra la reciproca ricchezza, che gli sguardi si sappiano incontrare. Proprio da questo incontro sgorga ‘qualcosa’ di nuovo, non vogliamo sapere di che cosa si tratti, vogliamo sentirci insieme lungo un percorso che ci vuole rendere uomini autentici, capaci di riconoscerci nonostante l’abitudine inveterata a considerarci diversi.

A Contra, presso le suore della Casa Emmaus, cristiani, mussulmani e buddhisti il 25 novembre 2000 si sono incontrati per la seconda volta dopo l’esperienza del settembre scorso ad Arezzo. La Comunità ospitante ci ha proposto il tema delle ‘Benedizioni’ e su quello ognuno ha cercato di apportare il proprio contributo. Un invito alla preghiera ha aperto l’incontro, alcuni tra noi hanno offerto al Signore la propria vita come incenso, altri hanno fatto appello al Signore che non ha creato ‘tutto questo’ invano, altri ancora hanno fatto appello all’esigenza di andare oltre l’egoismo dell’io e del mio: “Andato, andato, andato al di là, totalmente andato al di là”. Queste parole ci hanno ricordato che l’incontro ci educa se ci riconduce all’intimità meditativa e così spontaneamente è sgorgato il silenzio. La voce ha ridato poi spazio all’identità di ogni percorso e così abbiamo avvertito la fragilità e la precarietà delle nazioni, la tenacia del desiderio, l’insaziabilità della mente, il peso della superficialità della nostra esistenza prigioniera dell’ignoranza, le sofferenze della povertà, l’esigenza della compassione capace di aiutare tutti gli esseri. Molto toccante l’appello alla ricchezza che non riusciamo a scorgere nel mondo, beati i poveri in spirito, gli afflitti, i miti, coloro che aspirano alla giustizia e alla misericordia, chi ha un cuore puro e ama la pace. La pace risuona tra i servi del Misericordioso che camminano con modestia sulla terra: la loro parola è “Pace!”. Ancora siamo scivolati con leggerezza e spontaneità nel silenzio, avvertendo in questa esperienza la stessa immediatezza e forza dell’acqua che irrora le radici, del concime che dà nutrimento. Un canto della comunità ospitante ci ha ricondotti a quella ricchezza che rinfranca l’anima, che rende saggio il semplice, che fa gioire il cuore, che fa scoprire ciò che è più prezioso dell’oro e più dolce del miele. Dai mille volti dei presenti sono scaturite riflessioni, preghiere, speranze e convincimenti che ci hanno reso ancor più ricchi di quel bene che possiamo perdere solo quando il nostro sguardo perde la sorgente da cui sgorga.

 

 

 

Lettera aperta di Gemma DonatiCarissimi pagodini, quattordici anni fa sono venuta per la prima volta alla Pagoda, e vi sono rimasta più o meno consistentemente per due anni. Sono stata la prima ospite fissa qui, quando ancora, a parte Luciano, nessuno di voi neanche sapeva di questo posto. Poi sono sparita per circa dodici anni. In questi dodici anni, non ho soltanto lasciato il mondo della Pagoda ma tutto il mondo senza però lasciare la pratica. Ho rivisto il mio Lama solo l’anno scorso dopo dieci anni. Voi sapete che mi sono ritirata in montagna sui Sibillini e qui, spesso coi lupi fuori della porta e sessanta centimetri di neve che mi impedivano di avere qualsiasi comunicazione col mondo esterno.

Stasera sono di nuovo qui, da sola come quattordici anni fa: conosco il rumore di questo trattore dei vicini, l’odore di queste pareti ammuffite, il miagolio di quel gatto in giardino anche se certo non è lo stesso gatto di quattordici anni fa… Ho passato il tempo leggendo il libro dove avete raccolto tutte le vostre attività, i vostri progetti, esperienze, problemi, speranze. Alcuni dei vostri scritti mi hanno commossa, altri entusiasmata, altri ancora mi hanno fatto riflettere. Tra questi la domanda di uno di voi: perché vengo alla Pagoda?

Così anch’io mi sono chiesta: perché vengo alla Pagoda? Quando sono venuta qui per la prima volta avevo certe ragioni che erano molto diverse da quelle di oggi, perché nel frattempo sono profondamente cambiata. Quattordici anni fa, avevo un enorme bisogno di immergermi nella purezza e nella sacralità per bilanciare i molti anni della mia vita trascorsi nella devianza del mondo. Ora la pratica concentrata ed incessante da me fatta per tanti anni in solitudine, mi ha dato la capacità di sintetizzare il sacro e il deviato, il mondo della purezza e quello della corruzione solo apparentemente in contraddizione.

Come le api suggono il polline da ogni fiore senza distinzione per fare il miele, arriva un punto in cui ci serve ogni manifestazione dell’essere per suggere energia e così arrivare all’Assoluto.

Se oggi ritorno alla Pagoda non è tanto per chiacchierare con voi, il sangha anche se mi fa piacere, non tanto per ascoltare insegnamenti già molto ascoltati, e nemmeno per fare meditazione silenziosa… e neanche in fondo per ‘darvi una mano’, in senso organizzativo.

Vengo essenzialmente perché ho bisogno dell’energia che sprigiona dal luogo, dal vostro gruppo di buona volontà, delle difficoltà che cercate di superare sia qui che a casa vostra, insomma da tutto l’insieme… dell’impegno verso i valori del Dharma. Energia di cui ho bisogno non meno di quanto abbia bisogno di quella pericolosa, ma feconda, della devianza, scorciatoia verso l’Assoluto. Quella devianza alla quale prima sono appartenuta per debolezza, dalla quale poi mi sono allontanata per purificarmi, e alla quale ritorno oggi per suggere l’energia più profonda. E usarla in diversa maniera.

Frequento la Pagoda, le chiese, Camaldoli, i dervishi e però spesso prendo la corriera Arezzo-Anghiari solo per sedermi accanto alle puttane nigeriane che vanno al loro squallido lavoro, mi aggiro -anche se non ho bisogno di comprare nulla- per i supermercati, esasperati luoghi di consumismo materiale, mi fermo a lungo ai bordi delle strade più trafficate ascoltando il fragore delle auto, io che non ho mai voluto averne una. Indugio nei bar fumosi e assordati dalla televisione, io che non ho mai permesso a una televisione di entrare in casa mia, mi reco nei gabinetti pubblici senza necessità, osceni luoghi di sporcizia materiale e morale. Non sono attirata da questi luoghi, né certo penso di convertirli. Non dico mantra per purificare nulla, per aiutare nessuno nel modo tradizionale, semplicemente decanto l’energia che rende possibile tutte le manifestazioni dell’essere, come decanto quella dei luoghi sacri, di tutte le altre manifestazioni della vita, di tutte le circostanze che questa vita offre con le sue lacrime come le sue gioie.

Le unisco perché l’intero è più della somma delle sue singole parti. Nessuna di queste parti è più importante dell’altra per me. E’ solo l’intero che conta.

Ho quasi settant’anni e da tanto tempo cerco di arrivare ‘là’ anche se è difficile per me definire questo ‘là’… Ma di una cosa mi sono accorta: che è proprio grazie alla ‘frizione’ del sacro e del deviato, del puro e dell’impuro, della carne e dello spirito, che io posso accendere il fuoco della devozione. Come dalla frizione di due pietre focaie una contro l’altra ricaviamo la scintilla che farà ardere la fiamma. E’ solo la mia esperienza, personale e quindi limitata ma mi permetto di aprirvela perché nel libro della Pagoda tutti voi avete aperto il vostro cuore a volte mettendovi a nudo.

Ho cessato da tempo di evitare certi luoghi e certe situazioni perché impuri e pericolosi, come di frequentare esclusivamente certi altri perché più puri della devianza del mondo. Uniti essi mi offrono il prezioso carburante che spinge in alto la navicella del mio cuore, verso la Compassione per il bene di tutti gli esseri senzienti.

Almeno nella misura in cui io, coi miei mezzi ancora limitatissimi, sia capace di comprendere che cosa possa essere questa Compassione di cui tutti noi parliamo tanto continuamente, usando sì la stessa parola ma in fondo ignorando che cosa in realtà essa rappresenti per ognuno di noi, e come essa ci illumini…

 

OM MANI PEME HUM (Gemma)

 

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