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Trimle apr – giu 2001 n° 2 Anno III

 
 
 

 

I sette fattori dell’illuminazione    di Massimiliano Foglini

I discorsi del Buddha “Evam me sutta”

Riflessioni dell’Anagarika Luca

Sull’incontro tra le religioni    di Rodolfo Savini

Il Sangha de La Pagoda    di Luciano Bezzi

 

 

I sette fattori dell’illuminazione  di Massimiliano Foglini

 I sette fattori dell’illuminazione non sono la descrizione di un astratto e nebuloso ‘antico insegnamento’ tramandatoci nel tempo, ma delle ben precise qualità mentali da approfondire nell’ambito della nostra pratica. Infatti, per liberarci dalla sofferenza, dobbiamo da una parte lavorare sciogliendo i nodi dell’attaccamento, dell’avversione e dell’ignoranza, e dall’altra coltivare quelle qualità salutari capaci di orientarci nella giusta direzione.I sette fattori dell’illuminazione si possono suddividere in tre qualità di stimolo: Energia, Indagine, Gioia. Tre stabilizzanti: Concentrazione, Tranquillità, Equanimità. E un elemento in grado di equilibrare e mettere in relazione tutte le altre: la Presenza Mentale. Si usa paragonare queste qualità, agli ingredienti che il Buddha ha usato nella sua ricetta per il risveglio.Il primo di questi ingredienti e punto di partenza della pratica è la Presenza Mentale o consapevolezza, intesa come capacità di vedere le cose direttamente così come sono. Per allenare e rafforzare questa facoltà, gli insegnamenti buddhisti ci indicano quattro elementi nei quali dirigere la consapevolezza: il corpo, le sensazioni, la mente, i contenuti mentali. Contemplando così tutto il campo delle esperienze possibili. E’ una pratica che mira al progressivo dissolvimento del nostro attaccamento e identificazione da tutte le manifestazioni del corpo e della mente. Tramite la consapevolezza, ogni cosa viene osservata nel suo costante processo di mutevolezza, fino a comprendere come il nostro attaccamento alle cose destinate a finire, generi insoddisfazione. Continuando ad osservare può sbocciare la comprensione che nessuna sensazione, nessun contenuto mentale, nessuna condizione, ci appartiene veramente. Approfondendo seriamente la consapevolezza possiamo sperimentare una ‘luminosa spaziosità mentale’ nella quale nessuna caratteristica personale è presente. La presenza mentale contiene e alimenta il sorgere degli altri fattori dell’illuminazione, che a loro volta nutrono la presenza mentale; ecco che così si innesca un processo liberante fatto di virtù (circolo virtuoso) che tende a sostituire l’illusoria visione dettata dall’ignoranza-attaccamento-avversione (circolo vizioso). 

Il secondo ingrediente è l’energia; energia che è spinta, risoluzione, calore, ispirazione e che serve innanzitutto a sostenere la consapevolezza, a tenere il cuore aperto di fronte ad ogni situazione. Energia da coltivare e da volgere nella direzione dell’illuminazione. E’ anche il nostro impegno ad accrescere ogni forma di benessere senza lasciarsi ingannare dagli stati mentali negativi che indubbiamente sorgeranno; impegno nel ricercare deliberatamente l’amore, la compassione, la gioia compartecipe e l’equanimità, evitando con determinazione le cose dannose.Il terzo fattore dell’illuminazione è l’indagine. Dobbiamo considerare ed esaminare da noi stessi cosa è vero e cosa è falso. La stessa pratica deve diventare esclusivamente esperienziale, pragmatica: è nostro compito osservare direttamente la natura delle cose senza aderire ciecamente a quello che gli altri ci dicono o a quello che ci ‘sembra’ vero. E’ una qualità che ci avvicina coraggiosamente all’ignoto, che ci consente di essere pienamente presenti in qualunque situazione, che ci stimola ad intuire la realtà delle cose oltre i processi del pensiero.

Altro fattore dell’illuminazione è la gioia. Gioia di praticare, gioia di vivere che scaturisce dal lasciar andare ogni attaccamento. Stiamo parlando di una gioia che nasce dal proprio lavoro interiore, dalla più completa apertura nei confronti di qualunque cosa possa accadere. E’ intrinseca alla spiritualità, alla bellezza del cammino che conduce all’illuminazione; c’è chi la chiama ‘leggerezza del cuore’ e chi ‘meraviglia’, è comunque manifestazione di una ‘mente unificata’ e di un cuore che è penetrato nell’esperienza del momento presente.

Il quinto ingrediente è la concentrazione o il raccoglimento uni-verso l’esperienza presente. ‘Raccoglimento’ inteso non solo come contrario di ‘disattenzione’, ma anche contrario di ‘dispersione’. Stabilizzare la mente significa ricondurla continuamente ad uno specifico oggetto, ad esempio il respiro, un mantra, le sensazioni, l’amorevolezza o l’esperienza presente in qualsiasi maniera si offra. La mente, per abitudine, tenderà a divagare muovendosi tra desideri e avversioni, paure e resistenze. La concentrazione, tramite la determinazione e la perseveranza, può condurci oltre gli impedimenti verso la stabilità e la chiarezza della ‘visione profonda’, sviluppando quella capacita di comprensione capace di illuminare le oscurità della mente.

Il seguente fattore dell’illuminazione è la tranquillità, l’inclinazione ad immergersi nel silenzio e nella pace del nostro cuore. Certamente la quiete esteriore facilita e promuove quella interiore ma esiste anche quella capacità di ‘riposarsi nel momento in cui ci si trova’ qualunque situazione ci si presenti. Parte integrante di questa pratica è il lasciar andare ogni preferenza e avversione, allentando i nostri attaccamenti ai progetti, alle idee; in altre parole, anziché voler controllare ogni cosa, ci apriamo incondizionatamente ad ogni istante che viviamo nonostante le nostre aspettative. Alcuni suggerimenti, che vengono dati per promuovere la calma interiore, sono quelli di fare una cosa alla volta e di semplificare la vita smettendo di ricercare la felicità all’esterno in un ipotetico cambiamento di circostanze, comprendendo veramente che l’unica vera pace è quella del cuore, trovabile in ogni situazione.

L’equanimità è l’ultimo dei sette fattori dell’illuminazione. J. Kornfield (cofondatore e insegnante dell’Insight Meditation Center di Barre, Massachusetts) la descrive paragonandola ad una montagna: “Mentre la montagna sta ferma al suo posto, il sole splende su di essa, e la pioggia cade, e la neve la ricopre, e il fulmine la colpisce. Che fa, allora, la montagna? Resta al suo posto, senza vacillare. L’equanimità è quella facoltà che permette alla mente di sperimentare i vari cambiamenti che avvengono nel regno della forma, nel regno del sentimento, e nel regno della mente stessa, rimanendo ciò nonostante concentrata e impassibile. E l’equanimità si sviluppa proprio quando impariamo a tenere aperto il nostro cuore di fronte a tutte le mutevoli circostanze della vita e della pratica meditativa”. L’equanimità va di pari passo con la disidentificazione da corpo e mente e con lo scioglimento dei processi dell’io-mio. Al contrario di quanto si può supporre, non porta alla passività, perché sviluppa quell’energia capace di penetrare e fluire intuitivamente nelle situazioni.

Possiamo comprendere e sviluppare i sette fattori dell’illuminazione esaminandoli sia all’interno delle nostre sedute meditative che durante le nostre giornate, cercando di accorgerci quali di queste qualità abbiamo più sviluppato e quali meno. E’ anche importante diventare consapevoli di ‘quando’ sorgono, perché essendo delle qualità impersonali che si sviluppano da specifiche condizioni, possiamo comprendere quali condizioni le impediscono e quali le nutrono… Buona pratica!

  

  

 EVAM ME SUTTA

 

 

 

(I discorsi del Buddha)

 

 

 (Thich Nhat Hanh, tratto dal Majjhima-nikaya, 75)
 

 

In un discorso di Dharma, tenuto a Jetavana in occasione dell’annuale ritiro della stagione delle piogge, il Buddha parlò di felicità. Disse che la felicità esiste e si può sperimentare nella normale vita quotidiana. “In primo luogo” disse, “la felicità non è il risultato della gratificazione sensoriale. I piaceri dei sensi danno l’illusione della felicità, mentre in realtà sono fonte di sofferenza.“E’ come un lebbroso, costretto a vivere in solitudine nella foresta. Giorno e notte la sua carne è tormentata da terribili dolori. Scava allora una buca, vi accende il fuoco e cerca momentaneo sollievo dagli spasimi esponendo le membra al bruciore del fuoco. Solo così trova sollievo. Finché, miracolosamente, guarisce e ritorna alla vita normale nel suo villaggio. Un giorno, recatosi nella foresta, scorge un gruppo di lebbrosi che espongono le loro carni alle fiamme così come faceva un tempo. La pietà lo coglie perché sa che ora, recuperata la salute, non potrebbe tollerare una simile vicinanza al fuoco. Se qualcuno volesse trascinarlo vicino al fuoco, si opporrebbe con tutte le forze. E comprende che, ciò che un tempo gli era di momentaneo sollievo, è in realtà fonte di dolore per una persona sana.
“I piaceri sensoriali” continuò il Buddha, “sono come il fuoco. Danno piacere soltanto ai malati. Una persona sana rifugge le fiamme dei piaceri dei sensi”.

Il Buddha spiegò che la fonte della vera felicità è una vita di pace e libertà, che consente di sperimentare appieno le meraviglie dell’esistenza. Felicità è essere consapevoli di ciò che accade nel momento presente, liberi da attaccamento e avversione. Una persona felice apprezza le meraviglie che si manifestano di momento in momento: una fresca brezza, il cielo del mattino, un fiore dorato, un bambù violetto, il sorriso di un bambino. Una persona felice ne gioisce senza esserne legata. Comprendendo che tutti i dharma sono impermanenti e privi di un sé, la persona felice non si lascia assorbire neppure da quelle gioie. La persona felice vive nell’agio, libera da timore e paura. Sa che ogni fiore appassisce, e non si angoscia quando accade. La persona felice comprende la natura della nascita e della morte dei dharma. La sua felicità è vera felicità, e non teme né paventa la morte.

Disse che alcuni credono che si debba soffrire per essere felici in futuro. Costoro celebrano sacrifici e si sottopongono a dure prove fisiche e mentali, sperando di ottenerne in cambio la felicità futura. Ma la vita è soltanto nel momento presente, e sacrificarla equivale a sprecarla. Altri credono che, per ottenere pace, gioia e liberazione in futuro, si debba praticare la mortificazione nel presente. Seguono pratiche ascetiche, si riducono alla fame e tormentano il corpo e la mente. Tali pratiche, disse il Buddha, causano una doppia sofferenza, presente e futura. Altri sostengono che, essendo la vita tanto effimera, non vale preoccuparsi del futuro. L’unica cosa che conta è la ricerca di quanta più soddisfazione sensoriale è possibile. Ma anche l’attaccamento ai piaceri sensoriali causa una doppia sofferenza, presente e futura.

Il sentiero indicato dal Buddha evita i due estremi. Il modo di vita più saggio, disse, è vivere in modo da favorire tanto la felicità presente che quella futura. La via della liberazione non tormenta il corpo nella speranza di una felicità futura.[...]
  

Riflessioni dell’Anagarika Luca

Santacittarama, 17-01-’44 (2001)

Viversi la vita infelici
è troppo triste.
Eppure è quello che facciamo.
Persi a desiderare ciò che non c’è.
Persi a non desiderare ciò che c’è.
O solamente persi.
Perché, allora, non viversi la vita felici?
Contenti di ciò che è.
Contenti di ciò che non è.
O solamente contenti.
In semplicità e leggerezza.
Viversi la vita felici
sarebbe proprio felice.
Eppure non è quello che facciamo.
Persi nel troppo io.
Persi nel troppo mio.
O solamente persi nel non vivere felici.
Perché, allora, non viversi la vita felici?
Strano.
Strano fenomeno,
quello di essere infelici,
per il desiderio di esserlo.  

Davvero strano fenomeno.

 (Riflessione sorta dal mio disagio accompagnato da quello di alcuni altri praticanti (spero meno intenso), durante una seduta pomeridiana di meditazione, in cui ho attraversato, in una brevissima ora, tutti gli stati mentali (profittevoli e non) e quelli fisici, con altrettanti pensieri che si affollavano, per poi giungere alla quiete con questa semplice intuizione) 
  Affamate le vostre impurità,
imboccate le vostre purità

e mi raccomando

non invertite i termini!

In altre parole SIATE FELICI.
 

 

Lungo il sentiero dell’incontro tra le religioni:

“Verso il 22 aprile 2001″

(Rodolfo Savini) 

Ma più importanti di questi incontri sono le numerose occasioni preparatorie di confronto tra le diverse comunità, all’interno di ognuna di esse e nella profondità di ogni coscienza. Riflettere, interrogarsi, distinguersi e comprendersi. Così sta avvenendo anche per il 22 aprile. Numerose le telefonate, i contatti tramite i nuovi canali di comunicazione (quella e-mail che “globalizza” anche il nostro modo di concepire la religione), gli appuntamenti preparatori.
Mi sto rendendo conto che queste occasioni sono il seme che più alimenta tali progetti. Individuare gli argomenti, comprendere le priorità, avvertire gli accenti, confrontarci quel che già pensiamo di conoscere su di noi e sugli altri, ritrovarci in uno spazio particolare, condividere il nostro tempo. E’ un’attività di cui appena ci rendiamo conto, ma è davvero coltivare, arare e seminare senza pensare al frutto; è lasciare che si depositi dentro di noi l’aspirazione all’amicizia come condivisione fraterna. Quanto bisogno abbiamo che questo cibo ci nutra, ci dia la capacità di rinnovare la fiducia, ci apra, ci faccia abbracciare nella meditazione, nella contemplazione e nella preghiera. Accorgerci di respirare la stessa aria, di calpestare la stessa terra.

Quale rapporto vi è tra il Casentino e la realtà più vasta che ci circonda? In questo mese di marzo la domanda si ripresenta con maggiore intensità. La nostra vallata è solo un’oasi di convivenza intima e serena tra Cristianesimo, Islam e Buddhismo che si chiude, si serra, in se stessa per sottrarsi a ciò che accade fuori o può divenire, come forse starà accadendo anche altrove, il centro di un nuovo modo di guardare alle cose, di rapportarsi ad esse? Il mio pensiero non può che andare alle statue del Buddha che vengono abbattute in Afghanistan dai Talebani. Quanto possono essere violente le religioni, a quali fanatismi possono condurre: catturano mente, cuore e corpo dei loro fedeli che divengono automi. Con la pretesa di cancellare il male dal mondo danno vita a mali ancora peggiori. Se la solidità di una statua di pietra può essere infranta in un attimo, che cosa potrà mai accadere nei confronti di uomini che pensano diversamente da noi e che già il minimo inciampo può far cadere? Mi serve molto coraggio per poter guardare la violenza senza generarne di altra ancor più aggressiva! Sì, riesco a vedere la sicurezza di chi si sente presuntuosamente in possesso di una forza capace di abbattere opere millenarie, ma sono allo stesso tempo capace di scorgere, anche solo con un vago ricordo, le stesse azioni che l’umanità (o meglio la disumanità) è stata capace nel corso della sua storia?

Questi incontri interreligiosi sono la voce prepotente della Verità, dell’Amore, della Pace che con ferma semplicità si fa sentire, che non accetta di essere soffocata, ma che rinasce ovunque vi sia un cuore non soffocato dall’egoismo e dai suoi mali.

Auspico e voglio che l’incontro interreligioso possa essere una medicina capace di curarci dal bisogno prepotente che abbiamo di chiuderci in noi stessi contro gli altri, pur di riuscire a dare un senso alla vita.
  

  E’ un dialogo che continua. Mi fa piacere ricordare i momenti che lo hanno preceduto. Il 30 settembre 2000 ad Arezzo il tema che ci ha fatti ritrovare è stato quello del “Cammino della spiritualità. Religioni insieme lungo il sentiero della Pace”. L’iniziativa allora si collocava nell’ambito dell’Anno giubilare ed era stata promossa dalla Commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Nello stesso anno i momenti di aggregazione sono continuati in Casentino. Il 25 novembre, infatti, hanno risuonato le parole delle Beatitudini con i temi dell’amore, della pace e della giustizia, nell’appuntamento promosso dalle monache camaldolesi di Contra – “Casa Emmaus”. Ora stiamo per dar vita al nostro terzo incontro che si svolgerà presso la Pagoda di Pieve a Socana sul tema dell’etica: “Il comportamento e la fede”. Più avanti, tra giugno e luglio, ve ne sarà un altro presso la Moschea del Casentino (tra Bibbiena e Soci) sempre rivolto ad approfondire i principi basilari delle religioni.

 

Il Sangha della Pagoda

(Luciano Bezzi)

  
Ogni secondo sabato del mese, alla Pagoda, c’è un incontro aperto a tutti. Questo incontro è motivato dal bisogno di relazione che ognuno ha, e, in particolare, per sviluppare la conoscenza e l’amicizia tra chi frequenta la Pagoda.

 

Negli incontri precedenti sono sorti vari imprevisti, per cui l’incontro del sabato l’abbiamo ‘usato’ per risolvere collettivamente altre questioni. Poi, da qualcuno o da qualche parte, è nata l’idea di un tema che potremmo-vorremmo affrontare un sabato, e più precisamente SABATO 07 APRILE (anticipando di una settimana la consueta scadenza perché il 15 è pasqua…)
Allora, il tema… sono le relazioni di coppia/coniugali/familiari; che poi significa e comprende ‘le relazioni’ nel senso generale inteso. Per questo incontro, oltre ai praticanti del Dharma, ci piacerebbe, sarebbe utile, costruttivo, forse indispensabile, che ci fosse anche l’”anima gemella” del praticante o della praticante, anche se sono poco gemelle, anche se sono gementi, anche se sono all’ultima spiaggia (prendiamo un po’ di sole?). Così condividiamo insieme un po’ di silenzio, condividiamo le impressioni, ci aiutiamo a smontarci la testa ed aprirci il cuore.

Come? Eh!!! L’argomento è vasto: diceva il grande Nisargadatta Maharaj “colui che sa cosa è bene per un’altra persona, costui è una persona pericolosa!!” Evitiamo i pericoli, possiamo raccontarci del presente o del passato (del presente, meglio). Esperienze di reattività, risentimento, aspettative, attese, speranze, voti, delusioni, aspirazioni, gioie.

Tutti i contributi in ogni forma (parlata, scritta, audio, video) sono graditi.

Venite numerosi, anzi, tutti!!

 

P.S. Per i bambini. E’ meglio che in questa giornata stiano da un’altra parte, onde nessuno debba fare il baby sitter. Per trovare una soluzione o avere altre informazioni a riguardo telefonate allo 0575-53.28.92 (Luciano).

Chi ha sana la mentenon compete con il mondo,
né lo condanna.

La meditazione gli farà conoscere

che nessuna cosa quaggiù è durevole,

salvo gli affanni del vivere

(Suttapitaka Dìghanikàya)
 

 

 

 

Discorsi del Buddha 

Anagarika Luca 

 

Incontro tra le religioni 

 

Il Sangha de La Pagoda 

 

  

 

 

 

 I sette fattori dell’illuminazione

 

(Massimiliano Foglini)

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