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Trimle ott – dic 2002 n° 4 Anno IV

  • Nisargadatta Maharaj : dialoghi a Bombay
  • Il mio cuore non ha più dubbi ( Giorgio Pinotti ) 
  • Riflessioni sul cambiamento ( Antonio Caso ) 
  • La cerimoni di Paritta alla Pagoda ( Rodolfo Salvini ) 
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    Nisargadatta Maharaj: dialoghi a Bombay

    (Tratto dal libro “ALLA SORGENTE DELL’ESSERE…”)

    Visitatore: Sono venuto con i miei bambini a pregarla di darmi la sua benedizione.

    Maharaj:

    Tutto quello che ti è necessario ti è pienamente concesso. Ti sei inventato un Dio per poter implorare qualcuno e avere un conforto, per poter mendicare qualche grazia e sentirti protetto. E’ questa la spiritualità. Tutti quei nomi antichi: Gesù, Buddha, Krishna, non sono altro che parole vuote, che si tramandano di generazione in generazione.

    Se non capisci quello che ti sto dicendo, continua con le tue pratiche devozionali. Prega la forma esteriore, ma sappi che stai adorando te stesso; sappi che questa forma davanti alla quale deponi le tue offerte, non è altro che un aspetto di te stesso, un te stesso di cui non osi renderti conto. Pregala sapendo che è un aspetto di te stesso, altrimenti non farai altro che alimentare delle forme morte.

    Ci sono quattro stadi. Tu sei una cosa sola con l’Assoluto, soggetto puro, impersonale. Se questo non lo capisci rimani unito alla coscienza. Se non capisci nemmeno questo, adora il tuo essere nell’immagine degli dei, fa dei bahjan e le offerte. Altrimenti va per la strada e dedicati all’assistenza sociale.

    Il mondo è costruito sui compromessi, sulla disonestà, sulla frode, ma l’imbroglio più grande, l’inganno più grande è la spiritualità. Però non andare a dirlo in giro, altrimenti ti faresti dei nemici. Verrà un giorno in cui il corpo non sarà più con te, la coscienza non sarà più con te: questo lo sai: allora che cosa ti rimarrà? Scoprilo.

    Credi che se fosse possibile dare una benedizione, sarebbe necessario venirla a chiedere? Credi che il sole, quando sorge, scelga quello che illuminerà e si preoccupi di come si comportano quelli che riscalderà?

     

    Il mio cuore non ha più dubbi

    Giorgio Pinotti – S. Barbara Via Anacleto Francini, 29

    50034 Marradi (FI) Tel. 339/3259673

    Vi invio due poesie-pensieri con le quali inauguro la mia collaborazione con il vostro bollettino trimestrale ‘La Pagoda’. La prima è per ‘presentarmi’, la seconda è quella sul gioco di parole ‘POTERE-POTARE’ – ‘VOLERE-VOLARE’.

    Questa collaborazione nasce dalla nostra ‘amicizia’ ed è la prima volta che accade. Vi sarei inoltre grato se le due poesie fossero precedute dal mio indirizzo per chi eventualmente volesse scrivermi o venirmi a trovare. Allego anche il numero del (mio) TRILLINO (cellulare).

     

    Soltanto l’amore

    ci fa liberi

    e l’amore

    di un cuore puro

    capace di amare

    ci rende liberi…

    Di amare…

     Amo volere – Amo volare

    Amo potere – Amo potare

    Voler – Volare

    è

    Poter – Potare

    Amo Volare per Volere

    Amo Potare per Potere

    Poter – Volare

    è

    Voler Potare

     

    Riflessioni sul cambiamento di Antonio Caso

    Molto spesso, per la quasi totalità delle persone, il concetto di sofferenza s’identifica con quello del cambiamento, nel senso di perdita, nel senso del lutto, nel senso dell’invecchiamento, o comunque della variazione di un qualsiasi stato di benessere. Eppure tutto cambia, sempre, dentro e fuori di noi. Le nostre cellule della mucosa intestinale cambiano completamente ogni 48 ore, più velocemente quelle cutanee, gli stessi globuli rossi, entro 120 giorni vengono distrutti e rinnovati, per non dire dei nostri pensieri, che in una frazione di secondo possono mutare più velocemente di qualsiasi evento. Il nostro corpo ci insegna, con la sua biologia, con questo piccolo microcosmo, se ci riflettiamo, che cosa sia la vita.

    Perché, allora, cerchiamo di conservare, di cristallizzare, di incapsulare nel tempo emozioni, situazioni, eventi che sappiamo essere mutevoli, che sappiamo far parte del circolo di nascita-sviluppo-decadimento-morte? Perché su tutto stendiamo il velo dell’inconsapevolezza, che ci fa credere di essere immutabili e immarcescibili, padroni del piacere e delle cose cosiddette giuste, abili a scartare e a glissare le situazioni non piacevoli. Ma poi, un certo giorno, tutto questo ci viene addosso, com qualcosa di inevitabile, come una gran valanga, e mentre rotoliamo giù, senza fiato, con la bocca e gli occhi pieni di neve, l’acqua si mescola alle nostre lacrime, e pensiamo che la vita sia ingiusta, che tutto sia una fregatura, che si è costruito tutto per nulla e altre simili facezie.

    In realtà, l’unica sicurezza che si ha è di essere impermanenti, e tutto quello che ci circonda lo è, ma spesso per tutta la vita lottiamo e soffriamo contro il mulino a vento costruito dal concetto del “per sempre”, del conservare ad oltranza, contro ogni evidenza, un grattacielo edificato sulla sabbia, sempre lì attenti e atterriti di scoprirne una crepa, un cedimento, nella paura che prima o poi possa cadere – quanta tensione, quanta energia sprecata nell’esercizio inutile e dannoso di evitare l’inevitabile. Alcuni, poi, capiscono teoricamente che il mezzo per disinnescare questo meccanismo perverso sia semplicemente accettare la realtà, le sue leggi, le cose così come sono, ma non sanno al dunque metterlo in atto, reagendo, nel momento della verità del dolore, nel solito modo cioè rifiutandolo e così incistandolo più profondamente dentro di loro. Cos’è allora che ci può fornire la possibilità di uscirne? La risposta è la pratica. Praticare la consapevolezza attenta e continua, ricordando a se stessi che si è parte di un tutto, di un insieme mutevole ed eterno, in cui interdipendiamo con tutti gli esseri di questo mondo, anche i più piccoli, anche i più apparentemente insignificanti. Tutti hanno i loro tempi, il loro massimo splendore e poi decadono e muoiono perché questa, se ci si pensa, è la legge meravigliosa della vita che fa sì di avere sempre nuova linfa, sempre nuova energia. Sarebbe terribile e alieno un mondo che non cambiasse, fermo a miliardi di anni fa; da quel magma informe e infernale di allora, ora ci sono le foreste, il mare e noi. L’evoluzione comprende in se stessa la morte e il rinnovamento, in un alternarsi ciclico ed eterno. Noi viviamo perché gli altri sono morti, ed è la morte che dà peso, sostanza e significato al nostro vivere qui. E continuamente con il cambiamento sperimentiamo, a ben pensarci, piccole morti e piccole rinascite, e in fondo quello che eravamo 30-40 anni fa non è quasi più riconoscibile nell’immagine che si riflette ora nello specchio. Similmente a molti altri animali abbiamo cambiato pelle, abbiamo fatto la muta. Se riuscissimo a ridimensionare la visione della nostra vita come fatto personale, includendola nel tutto, come è nella realtà, ricordandoci con la pratica, con la meditazione, con la giusta visione delle cose, che siamo qui solo per la legge di natura, allora forse riusciremo a guardare la nostra sofferenza e il nostro dolore in modo diverso e più equo.

    “La mente che non è toccata dalle vicissitudini della vita, la mente che è libera dal dolore, senza macchia e sicura: questa è la somma benedizione” Mangala Sutta

  • La cerimonia di Paritta alla Pagodadi Rodolfo Savini 

     

    Paritta è il termine pali (la lingua in cui sono tramandati i testi religiosi theravada) che indica qualcosa di cui tutti abbiamo bisogno: la protezione. Ognuno la cerca e la trova in quelli che sono per lui i più opportuni punti di riferimento. La tradizione buddhista coltiva Paritta con un attento sguardo al proprio corpo e alla propria mente. Con questa recitazione, che porta a ripetere come pratica abituale alcuni testi (tale pratica può durare una o due ore al giorno o per tutta la notte come in questa occasione), si abbraccia la natura del proprio corpo-mente, per poter guardare gli altri e il mondo che ci circonda da una sorgente più profonda, più libera dall’egoismo, più animata dalla benevolenza. Un’occasione particolarmente importante è stata quella che ci ha coinvolti la sera di sabato 5 ottobre. Gli amici dello Sri Lanka avevano preso l’iniziativa di preparare questa cerimonia di recitazione. Hanno predisposto nel Tempio de la Pagoda uno spazio apposito in cui i monaci potessero, alternandosi per tutta la notte nella recitazione di questi Sutta, alimentare e arricchire l’atmosfera del Tempio con queste parole. La cerimonia di Paritta, che per la prima volta si è svolta alla Pagoda, è stata arricchita dalla presenza di due monaci dello Sri Lanka, il ven. Nandasiri del Samadhi Vihara di Firenze e il ven. Piyadassi del Tempio di Verona, e dal ven. Tae Hye sunim del Musang Am di Lerici insieme ad un monaco birmano, ospite presso il suo tempio, U Wizaya. I principali testi, recitati da alcuni monaci sotto forma di canto, da altri come una rapida ripetizione, riguardavano principalmente il Mangala Sutta, il Discorso della Grande Benedizione, il Ratana Sutta, il Discorso sui Gioielli (il Buddha, il Dharma e il Sangha), il Metta Sutta, il Discroso sulla Benevolenza, il Jaya Paritta, la Protezione Vittoriosa. Sul fare dell’alba, tutti i monaci riuniti insieme hanno offerto ai partecipanti (e non solo) l’acqua benedetta dalla recitazione dei Sutta, cosicchè ognuno potesse anche materialmente purificare il viso e il capo, e un cordino da fermare al polso per ricordare che ogni azione lascia il suo segno nella rete del divenire. Un particolare ringraziamento a tutti coloro che hanno arricchito questa cerimonia con la loro presenza e con il loro pensiero.

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