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Tombola scheda vincente nelle parole di A. Munindo

Alla Cerimonia del Vesak quest’anno oltre all’Omaggio al Buddha abbiamo messo in movimento la Ruota delle Preghiere e … come sempre la Tombola buddhista. Desideriamo pubblicare la scheda “vincente”, non solo per i passi riportati dal Dhammapada, ma per i commenti ad essi sviluppati da Ajahn Munindo, neozelandese di nascita, ora monaco Theravada nella Tradizione dei Maestri della Foresta di Ajahn Chah in Thailandia.

La scheda vincente

Chi conosce la libertà di aver abbandonato il fardello dell’attaccamento al corpo-mente lo chiamo un grande essere.    Dhammapada strofa 402

 È una fortuna avere amici affidabili, essere sani e aver ricevuto una buona istruzione. È certamente una fortuna aver incontrato gli Insegnamenti spirituali che ci indicano una via attraverso le paludi della confusione. Sarebbe una fortuna anche più grande se riuscissimo ad arrenderci agli Insegnamenti e a fare esperienza dell’abbandono di tutti i nostri pesi. Nello stesso tempo, questi cosiddetti pesi non vanno visti come qualcosa di sbagliato. Può sembrare che ostacolino il nostro progresso sul sentiero; ma possono anche esserci d’aiuto. In realtà, sono la naturale conseguenza dell’inconsapevolezza e si manifestano ogni volta che ci attacchiamo al corpo/mente. Il Buddha viveva con illimitata consapevolezza, libera da ogni attaccamento. Arrendersi ai suoi Insegnamenti non significa solo non girare le spalle agli apparenti ostacoli ma anche studiarli, con interesse, con disponibilità, fino a vederli come la fantasia che in effetti sono.

 

 Restare liberi dall’odio  anche in mezzo a chi odia è vera felicità.   Dhammapada strofa 197

Di solito, noi identifichiamo la felicità con l’ottenere quello che vogliamo. Esistono altre forme di felicità? Tutti attraversiamo periodi in cui non abbiamo quello che vogliamo, o abbiamo quello che assolutamente non vogliamo. In questa strofa il Buddha indica una qualità di felicità che non dipende dall’ottenere o meno quello che vogliamo; una felicità che proviene dalla saggezza. La saggezza sa che alcune condizioni possono venire cambiate e altre no. Per esempio, non possiamo impedire a qualcun altro di provare odio. Ma possiamo fare lo sforzo per non essere tirati dentro la sua rabbia. E nonostante quel che si possa dire, questo non è immobilismo. È prendersi la responsabilità di quanto è nostro e mantenere l’equanimità verso quello che non lo è.

 

Chiunque vive libero  dalle abitudini ad aggrapparsi  al passato, al presente o al futuro, senza nulla possedere,  è un essere grande.  Dhammapada strofa  421

L’impeto o la nostra auto-narrazione interiore possono essere minacciosi. O forse sono i film che dobbiamo tollerare: di nuovo e di nuovo ancora, riordinare frammenti di ricordi, girare film con ‘me’ nel ruolo principale. Probabilmente non è che la nostra storia personale sia realmente motivo di tanta attenzione e sicuramente, se potessimo, fermeremmo il brusio interiore. Dunque, cosa alimenta l’impeto? Giudicare, prendere posizione, accettare, rifiutare. Ancora una volta, ci viene ricordato il bisogno del qui ed ora, con tutto il corpo-mente e una consapevolezza non giudicante, con un accento particolare su quest’ultimo aspetto. Come liberare la consapevolezza dalla pulsione a prendere posizione, a giudicare? Osservando tale pulsione. Mantenendo un punto di riferimento stabile nel corpo, abbiamo una visione prospettica sull’attività mentale abituale di cui facciamo esperienza sotto forma di giudizio e impariamo a non giudicarla. Non giudichiamo la mente giudicante. Se smettiamo di giudicare l’attività interiore, l’impeto può spegnersi.

Le catene di ogni schiavitù si spezzano per chi vede chiaramente e sa bene che siano concentrazione e visione intuitiva  Dhammapada strofa 384

 Un visitatore del monastero chiese ad Ajahn Chah come si possa praticare la meditazione di concentrazione (samadhi) quando in realtà non c’è un sé. Il maestro spiegò che quando sviluppiamo la concentrazione, lavoriamo con un sé. Quando sviluppiamo l’intuizione profonda, lavoriamo con il non-sé. Quindi quando veramente conosciamo lo stato delle cose, siamo al di là sia del sé che del non-sé.

 

Come vigile e protettivo rimane colui cui si affida un carico prezioso ed evita il male come un veleno.   Dhammapada strofa 123

 Noi abbiamo una merce preziosa: la coscienza umana. E amiamo la vita; da qui, lo sforzo che mettiamo nel proteggerla. Il Buddha sta dicendo che dovremmo sorvegliare la fortuna ereditata evitando tutte le cattive azioni. Possiamo trovare un grande beneficio in questa vita se siamo attenti e coltiviamo la saggezza. Allo stesso modo, una grande sofferenza può derivare se siamo disattenti. ‘Male’ è una parola forte e magari preferiamo non usarla. Ma siamo ingenui a non prenderla in considerazione. Quando il cuore è posseduto dall’avidità o dall’odio, ne possono conseguire azioni malvagie. Una volta compiute, ne deriveranno conseguenze dolorose. Nessuno può salvarci dalla disattenzione, nemmeno il Buddha. Con la gentilezza e la saggia riflessione contribuiamo alla protezione di tutti gli esseri.

 

Chi vive in modo impeccabile, chi ha discernimento è intelligente e virtuoso viene apprezzato dal saggio.  Si può coprire di biasimo chi nel suo essere è simile all’oro? Anche gli dèi apprezzano il suo splendore.   Dhammapada strofe 229-230 

A chi ci paragoniamo? L’abitudine mentale di paragonarci agli altri è per lo più espressione di confusione interiore che procura maggiore infelicità. Perché la radiosità del nostro vero essere risplenda liberamente, devono finire tutte le tendenze compulsive a paragonarci. Ma fintanto che soffriamo di questa abitudine, è meglio paragonarsi a chi vive impeccabilmente, a chi è più sveglio. Non ci è di aiuto avere in mente solo le immagini di chi ha più successo, è più ricco o più bello. Alcuni dei più grandi discepoli del Buddha non erano né famosi né belli, ma erano indubbiamente ammirati da tutti quelli che vedevano con limpidezza.

 

Come gli uccelli non lasciano orme nell’aria così la sua mente non si aggrappa alle tentazioni che gli si offrono. La sua rotta è lo stato di liberazione senza tracce invisibile agli altri.   Dhammapada strofa 92

 Riusciamo a fare quel che facciamo così pienamente da non lasciare tracce dietro di noi? Probabilmente no. La nostra abitudine ad attaccarci fa sì che facciamo le cose in modo parziale. La nostra parola può essere manipolatoria, e lascia dietro di sé un senso di incertezza. Le nostre azioni egoistiche, lasciandosi così dietro un senso d’incompletezza. E i nostri pensieri possono essere sparpagliati ovunque, rendendoci confusi. Questa immagine sottile degli uccelli che volano attraverso il cielo, senza lasciare alcuna orma dietro di sé,
ci ispira a vivere senza attaccarci. Nel compiere questo sforzo, ci allineiamo con i grandi esseri che hanno fatto quanto è necessario fare, lasciando dietro di sé nient’altro che la Verità.

 

Far male agli esseri viventi che come noi cercano appagamento significa far male a noi stessi.      Dhammapada strofa 131

 L’interesse verso se stessi può essere utilizzato per la nostra ricerca della retta azione. Di fronte al pericolo ci sentiamo subito minacciati, i nostri cuori si infiammano e il saggio discernimento si oscura. Tuttavia, invece di perderci in una reazione difensiva, la retta formazione può aiutarci a ricordare che siamo ‘tutti nella stessa barca’. Noi tutti condividiamo il desiderio di essere liberi dalla sofferenza. Probabilmente l’aggressore ha dimenticato questo fatto, da qui il suo intento a farci del male; ma fino a quando saremo anche noi intenzionati a fargli del male, solo un aumentato della reciproca sofferenza ne conseguirà. Rammentare regolarmente l’universalità della sofferenza può proteggerci dal cadere in questo vortice. Dedicare quotidianamente un breve periodo di tempo a considerare come siamo tutti alla ricerca di appagamento, può dar luogo allo svilupparsi di sentimenti di empatia e compassione. Questo non è un argomento di cui saremo convinti tramite il solo ragionamento, ma se ci immergiamo in tale contemplazione potremo trovarne beneficio da soli. 

 

La vittoria porta all’odio perché gli sconfitti soffrono. Chi è in pace vive lieto al di là di vittoria e sconfitta.    Dhammapada strofa 201

 Chi vive al di là di vittoria e sconfitta è definito ‘in pace’ non perché sia privo di sentimenti. Non è ‘al di là di vittoria e sconfitta’ perché è sfuggito alle sensazioni di dolore e di perdita. Quello a cui si è sottratto è il raggiro del sé. Il sé è come un arcobaleno: da lontano sembra reale e solido, ma se vi avvicinate, cominciate a sospettare che non lo sia affatto. Se ci aggrappiamo
troppo saldamente al senso del sé, ci perdiamo in visioni confuse riguardo a come trovare una felicità durevole. Crediamo che vincere sia l’unica cosa che conta, senza vedere che nel percorso procuriamo sofferenza agli altri. Se ci teniamo in modo troppo vago al senso del sé, anche in questo caso ci perdiamo, questa volta per mancanza di confini, diventando eccessivamente sensibili e privi di fiducia. Il rispetto e la fiducia in se stessi sono la conseguenza naturale di una vita vissuta con integrità e comprensione

 

 

 

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